Il partenariato Italia-Balcani Occidentali, gli strumenti e opportunità per il Sistema Paese, il ruolo del sistema produttivo italiano, gli strumenti internazionali a sostegno della crescita economica: sono questi gli argomenti discussi in altrettanti gruppi di lavoro alla Conferenza sul tema “L’Italia e i Balcani occidentali: crescita e integrazione”, che si è tenuta il 24 gennaio scorso a Trieste.
Questo convegno è scaturito da un’iniziativa intrapresa dal Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale del Governo Italiano, di cui è titolare Antonio Tajani, d’intesa con la Commissione Europea. Esso è stato un’occasione per riunire tutte le forze italiane dei diversi settori, imprenditoriali e politici, per rilanciare il ruolo politico dell’Italia rispetto alle problematiche legate all’integrazione europea, alla stabilità politica e alla sicurezza dei Balcani Occidentali, e allo sviluppo economico dei Paesi di questa regione.
Tra gli altri, vi hanno preso parte: il Presidente del Consiglio dei Ministri, Giorgia Meloni, che è
intervenuta in videomessaggio; oltre il Ministro Tajani, anche il ministro Ciriani; il Commissario europeo per il Vicinato e l’Allargamento, Varhelyi; il Presidente della Regione Autonoma Friuli Venezia Giulia e della Conferenza delle Regioni, Fedriga; Vincenzo Celeste, direttore generale Europa e politica commerciale internazionale alla Farnesina; Lorenzo Angelo, direttore generale Promozione Sistema Paese del Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale; tutti gli ambasciatori dell’Italia nei Balcani — Fabrizio Bucci (Albania), Marco Di Ruzza (Bosnia Erzegovina), Antonello De Riu (Kosovo), Andrea Silvestri (Macedonia del Nord), Andreina Marsella (Montenegro), e Luca Gori (Serbia) —, rappresentanti di pubbliche istituzioni, e del mondo produttivo italiano.
Presenti anche esponenti nazionali di Confindustria, Confcommercio e Confartigianato, Confagricoltura, Coldiretti e Confapi, Ice, Cassa Depositi e Prestiti, Simest, Sace, Finest, Enac, Banca Intesa San Paolo; nonché Francesca Utili, direttore generale per le relazioni finanziarie internazionali del Ministero dell’Economia e delle Finanze; Claudio Graziano presidente di Fincantieri; e Mons. Vincenzo Paglia, presidente della Pontificia Accademia per la vita, che è intervenuto sul tema del «Dialogo interreligioso come fattore di stabilità e crescita».
Nel corso della Conferenza, inoltre, i sindaci di Gorizia e Nova Gorica hanno presentato congiuntamente il progetto «Go! 2025 Nova Gorica e Gorizia Capitale europea della cultura 2025».
Quella che segue è una sintesi dei propositi e delle idee emersi dagli interventi delle autorità di Governo e dalle discussioni dei gruppi di lavoro.
Il Governo Italiano si prefigge d’incrementare la presenza dell’Italia nei Paesi dei Balcani Occidentali; di lavorare per l’affermazione dell’Italia quale piattaforma di dialogo e di cooperazione con i Paesi della regione, facilitatore della riconciliazione regionale e della sua integrazione nell’Unione Europea; di promuovere progetti concreti di collaborazione tra le realtà italiane ed europee da un lato, a partire quelle produttive, e i Paesi della regione dall’altro; di adoperarsi affinché i processi di adesione all’Unione Europea dei Paesi dei Balcani occidentali che non ne fanno ancora parte subiscano un’accelerazione. Esso ritiene che sia di fondamentale importanza concentrarsi innanzitutto su quest’ultimo obiettivo.
Si è cominciato a parlare di una prospettiva europea dei Balcani Occidentali con l’Accordo di Dayton di 28 anni fa. Tale prospettiva è stata sancita da una dichiarazione del Consiglio europeo di Salonicco di vent’anni fa. Sotto la presidenza di Romano Prodi, il processo e la prospettiva credibile di allargamento sono stati una priorità della Commissione Europea. In seguito, però, la spinta all’adesione degli altri Paesi dei Balcani Occidentali all’Unione europea si è affievolita perché non tutti gli stati-membri l’hanno considerata come una priorità.
Il risultato è che si è discusso per molti anni dell’allargamento dell’Unione Europea all’Albania, al Montenegro, alla Croazia, alla Bosnia-Erzegovina, alla Serbia, al Kossovo, e alla Macedonia del Nord, ma solo la Croazia è diventata Stato Membro dell’Ue; inoltre, a causa delle diverse strategie comunitarie messe in campo, e della sovrapposizione di iniziative, non di rado in contrasto tra di loro, a dilatarsi sono stati non già i margini della collaborazione tra gli attori europei, ma quelli della competizione.
A causa del rallentamento è cresciuta la frustrazione nelle opinioni pubbliche dei Paesi dei Balcani Occidentali, che vedono il traguardo della loro adesione all’Unione Europea costantemente spostato in avanti; e sono comparsi nell’area altri competitori: Cina, Russia, Turchia, Emirati Arabi.
Non è solo l’Unione Europea a doversi assumere la responsabilità di tutto questo. Per entrare in Europa i Paesi dei Balcani Occidentali devono approvare riforme di adeguamento al quadro comunitario, peraltro non facili. D’altra parte, se l’Europa continua a rallentare, diventa un alibi per non procedere nelle riforme. Bisogna uscire da questa impasse e tocca all’Unione Europea accelerare il passo, sollecitando i candidati a procedere sulla strada delle riforme.
Occorre che i negoziati aperti procedano con speditezza anche perché lo scorrere del tempo non lavora per la stabilità, ma aumenta i rischi per l’intera regione, e l’Europa tutta. La crisi economica e geopolitica causata dall’aggressione russa all’Ucraina ha infatti riportato il problema dell’integrazione europea dei Balcani in primo piano.
Insistere nello sforzo d’integrare i Balcani Occidentali nell’Unione Europea è oggi più importante del passato perché in questa regione vi sono attualmente forti comunità turche, forti interessi cinesi e forti penetrazioni russe, e bisogna evitare che i Paesi di quest’area finiscano nell’orbita d’influenza della Russia, la quale, penetrando nei Balcani, potrebbe minare la coesione dell’Unione Europea e della NATO, e avrebbe tutto l’interesse a farlo. Ma non è solo nella sfera d’influenza della Russia che i Balcani possono essere attirati, da un punto di vista militare. Possono esserlo anche nella sfera d’influenza della Cina, anche da un punto di vista economico.
Rispetto a tutto ciò è emblematico l’atteggiamento della Serbia. Questo Paese rischia di guardare alla Russia e alla Cina più che all’Europa.
La Serbia è un Paese chiave per la stabilità dei Balcani Occidentali. È da registrare positivamente la priorità da essa accordata al processo di integrazione europea. Ma anche l’Unione Europea deve fare la propria parte, incentivando una scelta strategica definitiva di Belgrado a favore dell’Unione Europa.
Se l’Unione Europea vuole essere un attore globale, deve impegnarsi per riaffermare il senso di appartenenza di tutti i Paesi dei Balcani Occidentali al mondo occidentale e ai suoi valori.
L’Italia, paese co-fondatore e grande stato-membro dell’Unione Europea, e partner fondamentale dei Paesi dei Balcani Occidentali, non può permettere che questa regione — quadrante strategico per l’Europa — resti ancora a lungo fuori dalla casa comune europea.
Pertanto, si prefigge l’obiettivo di dare credibilità e slancio all’allargamento, e di rendersi protagonista di questo processo, lavorando, con un approccio condiviso con la Commissione Europea, non solo per sostenere il processo d’integrazione, ma anche per favorire il dialogo intraregionale tra i diversi attori. A questo fine, ha svolto e attualmente svolge un ruolo attivo nelle sedi europee, e lavora per rafforzare la cooperazione bilaterale con i Balcani, con i quali ha da anni intense relazioni economiche e politiche; e non si stanca di sollecitare le parti a raggiungere un’intesa il prima possibile. Il suo impegno è rispecchiato, tra l’altro, dalla recente missione a Pristina e Belgrado del Ministro Tajani e del Ministro della Difesa Guido Crosetto, che aveva lo scopo di facilitare il dialogo tra i due Paesi; dal fatto che Roma è tornata a far parte a pieno titolo del Quint, il gruppo dei cinque Paesi che lavorano per sciogliere le tensioni tra Serbia e Kosovo, e disinnescare le crisi, di cui fanno parte anche la Francia, la Germania, gli Stati Uniti d’America, e il Regno Unito; dal fatto che Roma ha convocato a Roma per i prossimi mesi una riunione di tutti i ministri degli Esteri dei Balcani. La sua prossima missione bilaterale sarà in Bosnia ed Erzegovina. Questo paese continua a registrare tensioni politiche e a essere scosso dalle pulsioni pseudo-secessionistiche dei serbo-bosniaci. Il fatto che gli sia stato concesso lo status di Paese candidato a entrare a far parte dell’Unione Europea è una svolta storica e un segnale concreto a sostegno della sua prospettiva europea. Ora è fondamentale che tutti gli attori politici lavorino in modo coeso sulle riforme necessarie per avvicinare questo Paese all’Europa. Il Governo Italiano, inoltre, è al lavoro per organizzare due business summit, uno in Serbia e uno in Kosovo. Ma è in agenda anche un altro evento; riguarda la Macedonia del Nord, la Bulgaria e la Romania, e il “Corridoio 8”.
L’impegno dell’Italia per favorire lo svolgimento del processo d’integrazione europea dei Balcani Occidentali nasce dalla consapevolezza che è necessario rispondere all’aspettativa di stabilità e sicurezza che i Paesi di questa regione attendono da oltre vent’anni. I Balcani Occidentali, infatti, si portano dietro alcuni problemi irrisolti, uno dei quali è quello dei difficili rapporti tra la Serbia e il Kosovo.
Va ricordato a questo proposito che una proposta di accordo è stata presentata alle due parti attraverso la facilitazione europea, e che la diplomazia italiana sta operando, assieme ai suoi partner più vicini, per ottenere che sia accettata. Ottenere questo risultato sarebbe un successo di portata storica, di cui l’intera regione si avvantaggerebbe. Se manca l’assenso della Serbia al piano franco-tedesco sul Kosovo, si potrà dire addio all’integrazione di questo paese nell’Unione Europea. D’altra parte, se si vuole garantire la stabilità e la sicurezza dell’Europa, l’integrazione europea della Serbia è uno sviluppo ineludibile.
Il Governo Italiano è impegnato in prima linea affinché Serbia e Kosovo normalizzino i loro rapporti. Esso è già stato in Serbia e Kosovo, per facilitare il dialogo tra questi due Paesi, e ritiene che, anche grazie alla presenza di tanti militari italiani, sia possibile costruire un’azione positiva.
L’Italia è sempre stata solidale con ciascuno dei suoi vicini balcanici nei momenti di difficoltà ed è attualmente a fianco di chiunque lavori per una crescita condivisa, nella sicurezza. Essa continuerà a battersi per un’integrazione della regione nell’ambito di un processo di adesione all’Unione Europea. Del resto, questo è ciò che tutti i suoi amici nella regione le chiedono. Al Vertice dei Capi di Stato e di Governo dell’Unione Europea e dei Balcani occidentali che si è tenuto il 6 dicembre 2022 a Tirana in Albania, il premier del Kosovo Albin Kurti ha detto che l’Italia dovrebbe essere più attiva e aiutare Pristina a mantenere una pace a lungo termine. L’Italia ha confermato a più riprese la propria massima determinazione a costruire con il Kosovo e con tutti i Paesi della regione un partenariato a tutto campo, fondato sui valori e i principi che sono alla base del progetto europeo. Il Kosovo sa che l’Italia c’è e che continuerà a fare la propria parte.
Resta il fatto che la sicurezza e la crescita di tutti i popoli dei Balcani occidentali sono fondamentali per l’interesse nazionale dell’Italia, ma raggiungere questi obiettivi è un risultato che può maturare solo in un contesto europeo.
L’Italia vuole essere più presente nei Balcani Occidentali perché, in politica, quando si lasciano degli spazi questi spazi vengono occupati da altri. Se l’Italia è presente politicamente, con le sue imprese e con i suoi militari di pace non vi è pericolo che altri occupino gli stessi spazi. Non solo la Russia, ma anche tanti altri sono interessati ai Balcani. Per questo l’Italia e l’Europa devono essere più presenti nella regione.
Il commissario all’Allargamento, l’ungherese Oliver Varhelyi, nel suo intervento alla Conferenza di Trieste, ha pronunciato frasi come: «C’è tanto da fare», «Abbiamo bisogno di più Italia nei Balcani occidentali», «Vogliamo che l’Italia si promuova in modo più forte nei Balcani occidentali e nell’Ue».
L’Unione Europea, dunque, guarda con favore al protagonismo dell’Italia nei Balcani, senza dubbio perché sa che questo non risponde solo a un mero interesse nazionale, ma anche a un interesse europeo.
Occorre però che la stessa determinazione sia espressa anche da parte del Consiglio europeo, che è la sede in cui siedono Capi di Stato e di Governo, compresi anche coloro che in questi anni hanno mostrato freddezza, se non ostilità, verso i Balcani, ripetendo lo stesso errore che è stato fatto di fronte alla dissoluzione della Jugoslavia.
Il Governo Italiano intende perseguire l’obiettivo del rilancio della propria azione nei Balcani Occidentali con un approccio strutturato, coinvolgendo cioé tutte le componenti del Sistema Italia.
La Conferenza di Trieste sui Balcani è un tassello di questo percorso. Essa si colloca in una traiettoria che vede l’Italia, dagli anni ‘90 del Novecento ad oggi, capofila del fronte favorevole all’integrazione. La scelta di tenere a Trieste quel convegno si deve al fatto che il capoluogo giuliano è una città-ponte verso l’Est, ed è un luogo-simbolo, dal quale si vuole lanciare un segnale politico.
Per cinquant’anni Trieste è stata una città soffocata dalla divisione in due dell’Europa. Dal 1989 lo scenario è radicalmente cambiato e Trieste si trova al centro del continente. Trieste è oggi un crocevia di fondamentale importanza. Basta pensare a come il porto è divenuto uno scalo strategico per l’Europa dell’Est e del Nord, oppure transitare in A4 per misurare la quantità di scambi commerciali con l’Europa dell’Est e del Sud. Trieste non è solo la porta per l’Europa orientale, ma anche la porta per l’Europa occidentale. Questa città, inoltre, è all’avanguardia in numerosi settori innovativi e il suo Parco scientifico e tecnologico, che integra centri di ricerca di fama mondiale, come il Sincrotrone, è un esempio di successo della sinergia tra il mondo produttivo e quello della ricerca scientifica.
L’Italia, secondo Paese manifatturiero in Europa, leader nell’economia circolare, terza al mondo per le tecnologie spaziali, seconda in Europa per la meccanica e la produzione farmaceutica, e quarta per l’esportazione di macchine utensili, guarda con grande interesse alla prospettiva di un’area balcanica stabile, e ancorata all’Unione Europea, anche in funzione della propria crescita economica e dell’aumento della presenza delle imprese italiane in questa regione.
L’Italia è uno dei principali partner commerciali dei paesi dei Balcani Occidentali, con una presenza di imprese italiane nell’area sempre crescente. Essa ha un forte legame economico con l’Albania, la Bosnia ed Erzegovina, il Kosovo, la Macedonia del Nord, il Montenegro e la Serbia, paesi nei quali vi sono molte opportunità per le imprese italiane nei settori dell’energia, dei trasporti, dell’agroalimentare, dell’edilizia e dell’industria manifatturiera. Senza tralasciare le opportunità di cooperazione nei settori dell’istruzione, della ricerca e dell’innovazione.
La vicinanza geografica e la combinazione dei molteplici fattori d’attrazione hanno spinto molti imprenditori italiani a installarsi in quei Paesi, tanto che gli Italiani risultano oggi tra i primi investitori e tra i primi partner commerciali di quell’area geografica.
Nel 2022, il sistema produttivo italiano ha registrato un’intensificazione molto forte degli scambi con i sei Paesi dei Balcani occidentali che non fanno ancora parte dell’Unione Europea rispetto al 2021, pari a quella che ha registrato nello stesso periodo nel resto del mondo. A quei Paesi bisogna aggiungere la Croazia e la Slovenia, che fanno già parte dell’Unione Europea e con i quali l’interscambio è anch’esso molto forte.
Il sistema produttivo italiano si prefigge d’intensificare l’azione di penetrazione nel Balcani Occidentali, in stretta connessione con le ambasciate italiane. Vanno collocati in questa prospettiva due Business Forum, di cui uno si terrà a Belgrado il 21 marzo, e l’altro nel Kosovo in maggio (il primo del genere a Pristina).
Nel Kosovo vi sono già aziende italiane, marche in franchising, e qualche investimento. Ma c’è molto da fare, perché l’idea che si ha in Italia del Kosovo è quella di un paese non pienamente sicuro, e questo che non incoraggia gli investitori. In realtà, il Kosovo è un paese sicuro, anche grazie alla presenza in esso di 800 Italiani (sui 3700 della Kfor, ndr), che difendono l’integrità territoriale e la sicurezza del Paese.
Ma volere avere i Paesi dei Balcani nell’orbita europea significa essere credibili, seri, affidabili, fare investimenti. L’Europa deve trovare la forza di indirizzare gli investimenti e favorire la sicurezza dell’industria europea. I Balcani occidentali possono rappresentare un perimetro strategico» in questo senso.
I Balcani Occidentali sono un ponte che unisce l’Europa al Medio Oriente e all’Asia. L’Italia è legata a essi a doppio filo ed è una presenza gradita ovunque nella regione. Essa vuole aumentare gli scambi commerciali con quei Paesi e gli investimenti nella regione, per sviluppare le economie locali e creare nuove opportunità di lavoro, attraverso la liberalizzazione del commercio, l’eliminazione delle barriere commerciali e la promozione degli investimenti nei paesi dei Balcani occidentali.
In questo senso va vista l’implementazione di una sempre maggiore cooperazione economica, anche attraverso programmi di formazione e di supporto alle imprese, con l’obiettivo di aiutare le piccole e medie imprese italiane — e quelle dei paesi dei Balcani occidentali — a competere nell’economia globale.
Sono perciò in corso riflessioni e proposte del mondo produttivo italiano su come rinnovare il partenariato economico tra Italia e i Balcani Occidentali.
Durante la Conferenza di Trieste si è avuto a questo scopo un focus, rispettivamente:
• sui finanziamenti a supporto degli investimenti nell’area balcanica, con particolare riferimento agli strumenti di finanziamento messi in campo da Bei, Bers, Banca Mondiale e dell’Unione europea a supporto degli investimenti nella regione balcanica;
• sulla crescita economica della regione;
• sull’analisi delle prospettive del mercato balcanico.
La discussione ha dimostrato che la presenza dell’Italia nei Balcani occidentali è un sostegno al tessuto economico dei vari Paesi, e mira a favorire l’interscambio.
In Serbia, le banche italiane sono presenti da più di 20 anni e hanno affiancato questo Paese nel processo del suo avvicinamento all’Europa. Lì vi sono 1.200 aziende italiane, l’interscambio si pone in termini di miliardi di euro, le imprese italiane danno lavoro a 5 mila Serbi. L’Italia è il secondo Paese investitore in Serbia, e, dopo la Germania, il partner economico europeo più importante della Serbia.
Ma non bisogna cullarsi sui risultati raggiunti, occorre guardare alle tendenze in atto e tenere conto delle priorità del governo serbo, pertanto passare dai settori tradizionali dove gli Italiani sono fortissimi — il tessile, l’automotiv, due importanti banche e il settore assicurativo — alle infrastrutture, alla transizione verde, alla diversificazione energetica, alla digitalizzazione, all’agricoltura.
A questi settori sarà dedicato il Business Forum che si terrà il 21 marzo a Belgrado. Inoltre, l’Italia sarà Paese partner nella Fiera internazionale dell’agricoltura che si terrà in maggio a Novi Sad. In questi due momenti si cercherà di dare una sterzata ai rapporti economici tra l’Italia e la Serbia.
L’Albania è la porta di ingresso sui Balcani e la sua adesione all’Unione Europea ha un valore fondamentale. Inevitabilmente, entrerà a far parte dell’Unione, se non subito, in un prossimo futuro. In questo Paese la vicinanza con l’Italia è anche culturale: lo dimostra il fatto che gran parte della popolazione parla italiano. Circa la metà di tutte le aziende straniere in Albania sono italiane, e l’interscambio con l’Italia vale il 20% del Pil albanese. L’Italia è presente in tutti i settori. Energia, infrastrutture, connettività e nuove tecnologie sono alcuni dei settori più promettenti.
L’Italia è tra i principali attori economici e finanziari anche della Bosnia ed Erzegovina.
La Macedonia del Nord considera la propria integrazione nell’Unione Europea come assolutamente necessaria. Crede pienamente a questa prospettiva, ha un forte ancoraggio occidentale, ed è un paese NATO. Attualmente, presiede l’OCSE. I negoziati di adesione all’Unione Europea della Macedonia del Nord sono finalmente iniziati nel luglio 2022. L’Italia è interessata accompagnare la Macedonia del Nord in questo percorso.
Vi è tra questi Paesi un partenariato forte, solido, credibile. L’Italia sta affiancando la Macedonia del Nord in diversi settori, come l’agricoltura, il buon governo, e gli affari interni, nel tentativo di promuovere maggiori relazioni sul piano commerciale. Quanto ai rapporti economici bilaterali, essa è il sesto paese cliente e l’ottavo paese fornitore. È presente in settori come meccanica, confezione, prodotti finanziari, calzaturiero. Ma c’è spazio per fare di più, in settori strategici, come le infrastrutture, l’energia e l’ambiente, nonché nel settore agricolo, che rappresenta il 10% del PIL.
L’Italia, dunque, è già protagonista nei Balcani, ma deve rinnovare la propria presenza in questa regione, e investire nei settori strategici, come lo sviluppo industriale, la transizione verde, la digitalizzazione, e l’agricoltura, stimolando l’Unione Europea a inserire la piena integrazione di questa regione tra le sue priorità, in considerazione delle tante ricadute positive che questa può avere per tutto il continente in una pluralità di materie.
Sostenere la stabilizzazione e la piena integrazione europea dei Balcani Occidentali significa infatti non solo lavorare per gestire e contenere i flussi migratori irregolari attraverso la Rotta Balcanica, per evitare l’immigrazione illegale, ma anche cooperare nella lotta alla corruzione, nel contrasto dei traffici illegali, nella prevenzione e nel contrasto del radicalismo in tutte le sue forme.