Illuminata dalle lampade opache come la Parigi di metà Ottocento, scaldata dal sole quasi estivo e profumata come i campi di grano di Arles, malinconica come le colline di Saint Remy e le mura dell’ospedale psichiatrico Saint Paul de Mausole.
Palazzo Bonaparte, in piazza Venezia a Roma, che si sveste della sua natura altera e aristocratica per indossare i panni modesti di un pastore protestante mancato, di una “nullità sgradevole”, di un “infimo tra gli infimi” di nome Vincent.
Questa è la sensazione che si prova salendo le ampie scale di marmo levigate dal tempo, dagli zoccoli dei cavalli e visitando le meravigliose sale settecentesche che fino al 26 marzo ospitano la mostra su Van Gogh. Uno straordinario percorso evolutivo in cui lucidità e follia, sacro e profano si toccano, si scontrano, si fondano insieme per alimentare e muovere la mano sinistra di un genio visionario unico al mondo.
50 capolavori assoluti, provenienti dal Museo Kroller Müller di Otterlo che raccontano, in un vortice di chiaroscuro e colore, di schizzi e pennellate, di tempera e olio, di carta e inchiostro, il pensiero, l’arte, l’anima e la vita breve, maledettamente breve, dell’artista più conosciuto ed iconico di sempre.
Il rischio che si corre è quello di rimanere abbagliati dalla bellezza onirica del “Seminatore al tramonto”, ipnotizzati dallo sguardo magnetico dell’ “Autoritratto“ parigino, giudicati e condannati dalla dignità e dalla severa semplicità dei “Mangiatori di patate”.
Ogni quadro è un sogno ad occhi aperti, una finestra nel tempo che obbliga il visitatore a guardarci dentro e a guardarsi dentro per scoprire o riscoprire il potere terapeutico della luce, la gioia e l’allegria dei colori, la natura consolatoria e salvifica dell’arte.
Ti fermi ad ammirare questa magnifica collezione e ti accorgi, poco a poco, che Van Gogh ti è già entrato dentro, ti ha preso con sé e ti sta portando nel suo mondo concedendoti il privilegio di guardare con i suoi occhi, di sentire con il suo cuore, di provare le sue stesse emozioni, le sue stesse inquietudini. Fino in fondo, fino all’abisso.
Un viaggio sublime e, allo stesso tempo, sconvolgente che diventa anche il nostro e che mentre siamo cullati e coccolati da paesaggi al crepuscolo con fantasie cromatiche senza eguali ci riporta, all’improvviso e senza pietà, alla crudezza della quotidianità, alla disperazione del tempo che passa, all’ineluttabilità di una morte troppo precoce.
Strano, a volte, il destino, il disegno di Dio: a 170 anni dalla sua nascita Van Gogh con la sua pittura ha raggiunto lo stesso obiettivo che avrebbe voluto realizzare con la parola del Vangelo diventando un pastore protestante: rendere le persone più profonde, più consapevoli, semplicemente migliori. Allora tuffiamoci in questa magica e unica atmosfera di Palazzo Bonaparte che, per questa volta, mette da parte stucchi, statue, affreschi e marmi. Ci scuserà la nobildonna Maria Letizia Ramolino, madre dell’Imperatore Napoleone, se fino al 26 marzo, il padrone di casa parla olandese e di nome fa Vincent.