Se “l’addio alle urne” degli elettori di Lazio e Lombardia ha toccato il massimo storico del 60 per cento, significa che ormai la stragrande maggioranza dei cittadini ha perduto ogni fiducia nella politica. Colpa di un sistema che, dalla Seconda Repubblica, è dominato da partiti personali: per lo più gusci vuoti, senza una proposta, senza un progetto e sempre più lontani dai problemi reali della gente.
Preoccupati esclusivamente della loro sopravvivenza, i gruppi dirigenti di partiti e partitini sono ormai quotidianamente impegnati in scontri virtuali per alimentare campagne mediatiche fatte di slogan e bandiere identitarie. Ma in genere si tratta di polemiche sul nulla che allontanano ancora di più gli italiani dalle urne. Fino all’astensionismo record appena registrato nelle due regioni più importanti del Paese.
Si tratta comunque di un fenomeno che non dovrebbe allarmare solo chi ha perso (Pd, M5S e Terzo Polo) ma anche chi ha vinto (leggi Fdl) per ko tecnico in mancanza di avversari. Perché continuare a ostentare l’identità trascurando la realtà, come ama fare buona parte della nuova destra arrivata al potere, prima o poi si paga.
Tanto per fare un esempio, dal suo primo giorno a Palazzo Chigi Giorgia Meloni ha dichiarato guerra al reddito di cittadinanza. Ma dopo quattro mesi di governo non ha ancora detto nulla sui Centri per l’impiego che non funzionano e che avrebbero dovuto dare un’opportunità di lavoro proprio a chi percepisce il reddito di cittadinanza standosene a casa, o – peggio ancora – andando a lavorare in nero.
E ancora, qualcuno dalle parti di Palazzo Chigi si sta occupando dei tanti problemi legati alle retribuzioni? I salari italiani sono fra gli ultimi in Europa. Non solo, ma negli ultimi 30 anni sono diminuiti. Secondo il Global Wage Report 2022-2023, oggi, in termini reali, sono più bassi del 12% rispetto al 2008. La retribuzione media, a parità di potere d’acquisto tra tutti i Paesi del mondo, da noi è di circa 35 mila euro lordi annui. La media Ocse è superiore ai 46 mila euro.
Tutto questo significa che l’Italia è seduta sopra una vera e propria bomba a orologeria, perché si sta giocando “la meglio gioventù”, la parte più dinamica e intraprendente della popolazione giovanile che sempre più spesso preferisce andare a lavorare all’estero, dove guadagna come minimo il doppio. Dove gli straordinari vengono pagati fino all’ultimo euro e dove il rispetto per chi lavora è normale dappertutto. E non parliamo solo di ingegneri, biologi, tecnici, ma anche di elettricisti, impiantisti, autisti, pizzaioli.
Già, perché un lavoratore italiano guadagna in media 15 mila euro in meno all’anno di un tedesco, quasi 10 mila in meno di un francese e la metà di un americano. E questo succede a parità di potere di acquisto. Con conseguenze drammatiche spesso visibili anche ad occhio nudo. Per esempio, nei depositi di pullman ormai zeppi di mezzi fermi, in sosta da mesi perché le imprese non trovano autisti. Visto che il lavoro è pesante e la retribuzione è bassa, molti autisti hanno deciso semplicemente di andare a lavorare oltre confine.
Nemmeno troppo lontano, Perché già in Austria si può guadagnare più del doppio. E la politica se ne preoccupa? O vogliamo continuare con gli slogan tanto cari a Salvini sul cuneo fiscale italiano che impedirebbe ai datori di lavoro di pagare di più i dipendenti. Certo, il nostro cuneo fiscale è troppo alto, 11,4 punti sopra la media Ocse, ma è uguale a quello della Francia e di poco superiore rispetto a Belgio, Germania e Austria. Allora resta da spiegare come mai in tutti questi Paesi i salari sono molto, ma molto più alti che da noi. Dovrebbe essere compito della politica. O no?