“Certi amori non finiscono, fanno dei giri immensi e poi ritornano…”. Chissà cosa penserebbe Antonello Venditti, a cui abbiamo preso in prestito il verso iniziale della famosissima canzone “Amici mai”, leggendo questa nostra breve storia di fine febbraio, neanche a farlo apposta, “nata sotto il segno dei Pesci”. Chissà cosa penserebbe, poi, se sapesse che questa storia riguarda, seppur indirettamente, un personaggio cantato in un altro suo capolavoro “Giulio Cesare”: «Era l’anno dei Mondiali quello dell’86, Paolo Rossi era un ragazzo come noi».
Eh già, proprio quel Paolo Rossi, Pablito, l’Eroe del Mundial in Spagna, l’unico uomo sulla terra a segnare tre gol al Brasile…e che Brasile. Amicizia, vita, non solo, questa, in più, è una storia di calcio: tutto può succedere.
Come, ad esempio, in una partita di novanta minuti. Come, in particolare, in quella tra Italia e Haiti: gara d’esordio mondiale disputata in Germania, all’Olympiastadion di Monaco, con oltre 53.000 spettatori paganti, in larga parte italiani.
In quel 15 giugno del 1974 ci presentiamo al cospetto degli sconosciuti haitiani vestiti di un’elegantissima maglietta bianca e banda orizzontale blu e una squadra che, ormai, si trovava, inesorabilmente, nella sua parabola discendente con campionissimi unici e irripetibili come Rivera, Mazzola e Gigi Riva ormai a fine carriera e le nuove leve come Causio, Anastasi e Pulici troppo acerbi per competere contro Argentina e Polonia, figuriamoci contro l’Olanda di Cruijff o la Germania di Müller.
Lo stesso spogliatoio azzurro era una polveriera pronta ad esplodere fotografata, perfettamente, nel celeberrimo e plateale “vaffa” che Giorgione Chinaglia dedicò a Ferruccio Valcareggi, il nostro Commissario tecnico. Nonostante ciò, al fischio d’inizio, pensiamo di fare un sol boccone dei malcapitati e folkloristici antilliani.
Niente di più sbagliato: minuto 49^ del secondo tempo, un’improvvisa palla radente taglia in due il nostro centrocampo troppo sbilanciato in avanti, e il loro numero 9, il semisconosciuto Emmanuel Sanon parte come un razzo alla ricerca della sfera, a scacchi bianconeri, che si avvicina sempre più pericolosamente alla nostra area di rigore.
Il nostro terzino destro, il roccioso Luciano Spinosi, ricordatevi bene questo nome, lo vede sfilare dritto verso Dino Zoff come Flash Gordon, come il Beep Beep della Warner Bros che dietro di sé lascia solo la polvere, e forse si sente un po’ come Willy il Coyote.
Uno a zero per Haiti, davvero incredibile!!! Non solo incredibile…storico!!! Erano ben due anni e mezzo, infatti, che Dino Zoff non subiva gol con la Nazionale: ben 1142 minuti di porta inviolata che rappresentano un fantastico record, battuto, solamente, nel 2021, da un altro portiere italiano, Gigio Donnarumma.
Mentre riprendeva la palla in fondo al sacco il nostro numero uno borbottava (eufemismo) maledicendo la sua difesa e in particolare l’incolpevole Spinosi che, in una recentissima intervista, dichiarò: «Quel giorno Sanon sembrava Usain Bolt. Certo che avrei dovuto stenderlo ma prima bisognava prenderlo».
Alla fine vincemmo 3 a 1 ma quel Mondiale finì comunque male, con una imbarazzante eliminazione nel girone contro i polacchi.
Spinosi dirà l’addio alla maglia azzurra pochi mesi dopo, Zoff invece, proseguirà il suo trionfale cursus honorum per altri otto anni, diventando il magnifico protagonista del Mundial di Spagna: quello della terza Coppa alzata al cielo, di Enzo Bearzot, Bruno Conti, Marco Tardelli e Paolo Rossi ovviamente.
Perché, è vero, certi amori non finiscono fanno dei giri immensi e poi ritornano, proprio come un pallone che rotola e rimbalza sul prato verde ma poi allo scadere del tempo torna, sempre, in braccio al direttore di gara; proprio come questa storia, questa nostra incredibile storia, che inizia l’1 febbraio 2023, a quasi cinquant’anni dai fatti appena citati, durante una cena di beneficenza all’interno della quale per l’occasione era stata allestita la mostra itinerante “Un Secolo d’Azzurro” con le magliette di Spinosi, Rossi e Zoff.
A fine serata accade che vengano rubati i rarissimi guanti modello “Uhlsport 040” che il portierone friulano indossò, nel Mondiale di Spagna 1982, per fermare le scorribande di Zico e altri fenomeni del calibro di Maradona, Falcao e Rumenigge tanto per intenderci.
Un atto meschino, ignobile e scellerato compiuto da ignoti che è stato, ampiamente, denunciato dalla stampa, compreso Sfogliaroma.it.
La notizia, in poche ore, fa il giro del web, diventando virale, suscitando sorpresa, sdegno, indignazione, rabbia. L’ eco del furto di cimeli così rari, preziosi e perché no sacri, raggiunge il suo obbiettivo e arriva alle orecchie di tifosi e semplici appassionati e soprattutto di ex giocatori degli Anni Ottanta per cui Dino Zoff non solo è stato compagno di squadra e capitano ma anche punto di riferimento ed esempio di vita, in campo e fuori.
A neanche una settimana dal fattaccio ecco un’improvvisa telefonata: «Buongiorno sono Luciano Spinosi, ho letto che vi hanno rubato i guanti di Dino, vorrei donare alla vostra mostra gli scarpini che Paolo Rossi indossò contro Polonia e Perù e con cui si laureò Campione del mondo, un piccolo grande risarcimento al torto subito che arricchirà la vostra esposizione».
E allora grazie Sfogliaroma.it perché quando guarderemo questi scarpini gialli sporchi d’erba, di terra, di gloria penseremo ai gol di Paolo Rossi, alle parate di Zoff, allo scatto bruciante di Sanon, alla generosità e al grande cuore di Spinosi.
Il suo gesto, a quasi cinque decenni di distanza da quella gara tra Italia e Haiti, chiude un cerchio, rimette in ordine personaggi ed eventi, ricordi ed emozioni, ci racconta che per quanto bella o brutta che sia una partita non dura mai solo 90 minuti, e ci ricorda di quei valori di amicizia, rispetto, di vita che il tempo non può cancellare, né scalfire, né prevedere, né fermare…
Proprio come certi amori e i loro giri immensi…