La comunicazione malata
mette a rischio il pianeta

Per affrontare «problemi globali» come la guerra e la crisi ambientale è necessario un «consenso globale». Cosa che non sarà possibile fino a quando la comunicazione resterà «frammentata in piccoli gruppi d’opinione messi insieme da un algoritmo». 54 anni, filosofo francese noto in Europa e negli Usa per i suoi studi e le sue riflessioni sull’ambiente e sul disastro ecologico causato dall’uomo, Frédéric Neyrat è arrivato a questa conclusione originale e drammatica.  

Neyrat, Frédéric Neyrat

Frédéric Neyrat

L’occasione per esporre in dettaglio il suo punto di vista è stata una recente conferenza all’Istituto Francese di Lisbona, dove ha messo sul banco degli imputati la «comunicazione colonizzata dagli algoritmi». Vista, tra l’altro, come la «principale responsabile dell’attuale penetrazione delle teorie del complotto».

Espressione di «un desiderio di comunicazione inappagato», purtroppo – spiega il filosofo francese – «la comunicazione macchina-macchina organizzata attraverso gli algoritmi anticipa, formatta e impoverisce le possibilità del dialogo umano». Questo vale per qualsiasi problema, al punto che perfino per affrontare e risolvere una grande emergenza come la crisi climatica bisognerebbe «risolvere prima la crisi della comunicazione».

Neyrat, Hpc5 Eni sistema di calcolo parallelo con migliaia di server contemporanei

Hpc5 Eni sistema di calcolo parallelo con migliaia di server contemporanei

E ancora: «La soluzione di grandi problemi globali come l’ambiente e la guerra richiedono un consenso globale sulle misure da prendere. Ma un consenso così vasto oggi risulta impossibile, visto il modo in cui le piattaforme di comunicazione si sono sviluppate». Con la tendenza a “frammentare”, ossia a dividere l’opinione pubblica in «piccoli gruppi di opinione che la pensano allo stesso modo e sono stati aggregati grazie ai calcoli matematici fatti da un algoritmo».  

La conclusione di Neyrat è che se le persone continueranno a vivere in comunità frammentate, senza comprendere che la loro visione del mondo è «modellata dalle macchine», non se ne esce. In altre parole, dobbiamo capire questo per «creare una distanza, una disconnessione che ci permetta di vedere che cosa è realmente il mondo, che cosa dovrebbe essere» e che cosa si può fare per cambiarlo.

Rispondendo all’obiezione che una disconnessione di massa rappresenta una utopia, il filosofo francese cita l’esempio di Walter Benjamin. Ricordando che il filosofo tedesco ha scritto molto sulla tecnologia negli anni 1930 e sul cinema, avvertendo sul rischio che potesse «degenerare in propaganda e portare al fascismo». Ma Benjamin – conclude Neyrat – sapeva anche che «riappropriandosi dei mezzi della propaganda il cinema poteva essere qualcosa di meraviglioso». E così è stato. «Adesso dobbiamo riappropriarci dei mezzi di comunicazione…».