Prodi guida la rivolta
pro auto a benzina

Prodi smonta il mito della macchina elettrica, preferisce l’auto a benzina. Punto principale: l’elettrico inquina di più dei motori a tecnologia avanzata a benzina e gasolio; produce «una quantità di CO2 superiore a quella di un motore a combustione interna di ultima generazione».

Auto a benzina, Romano Prodi

Romano Prodi

L’ex presidente della Commissione europea contesta totalmente il Parlamento europeo. Ha scritto un acuminato articolo per Il Messaggero, poi pubblicato anche sul suo sito Internet. In particolare critica il voto con il quale l’Assemblea di Strasburgo ha deciso lo stop dal 2035 della produzione delle vetture a benzina e diesel per lasciare spazio a quelle elettriche.

Il no del più granitico europeista italiano all’Europarlamento è una notizia rilevante. Boccia la stessa ragione ambientalista alla base della scelta dell’auto elettrica. Secondo Romano Prodi il motore a combustione con tecnologia avanzata è addirittura più verde di quello elettrico. La scelta del Parlamento europeo è sbagliata, sostiene, per una miriade di motivi tecnici-economici-sociali: 1) le batterie delle auto creano grandi problemi di smaltimento, 2) le macchine elettriche costano molto perciò sono fortemente sovvenzionate da fondi pubblici, 3) la rete di colonnine per i rifornimenti crea seri problemi logistici nelle città, 4) vengono messe da parte le promettenti ricerche sui biocarburanti e sull’idrogeno come combustibili alternativi.

Auto a benzina, Veduta aerea sulla fabbrica Stellantis di Pomigliano

Veduta aerea sulla fabbrica Stellantis di Pomigliano

Centrale, però, è la contestazione politica. Prodi lancia quasi un’accusa di antieuropeismo al Parlamento europeo: così si è «schierato in favore dell’unica scelta produttiva nella quale Cina e Stati Uniti si trovano fortemente in vantaggio rispetto all’Europa» per le tecnologie e le materie prime. L’industria europea dell’automobile rischia grosso. In particolare rischia di scomparire buona parte del tessuto industriale italiano, tra fabbriche di auto e aziende di componenti esportati con grande successo. L’ex presidente della Commissione europea e del Consiglio italiano teme il crollo dell’occupazione: perderebbero il lavoro oltre 50.000 persone sui 170.000 addetti del settore.

L’allarme è forte soprattutto in tre regioni: Piemonte, Emilia-Romagna e Lombardia hanno rilevanti impianti automobilistici e di componenti. Non sta meglio il Sud. La Campania e la Basilicata, che ospitano due importanti stabilimenti Stellantis a Pomigliano e a Melfi, sono addirittura messe peggio: nel Mezzogiorno trovare un lavoro tutelato da un regolare contratto è quasi un miracolo.

Carlos Tavares

L’industria dell’auto e i sindacati la pensano come Prodi. In particolare i sindacati dei metalmeccanici sono in allarme per i ritardi dell’auto italiana nella transizione ecologica. L’allarme è aumentato sull’elettrico per il pericolo del crollo delle vendite e dell’occupazione. Carlos Tavares ha indicato il rischio di perdita di competitività rispetto alle vetture cinesi per gli alti costi delle auto elettriche. L’amministratore delegato di Stellantis avrebbe preferito un impegno maggiore dell’Europa sulle innovazioni per l’auto a benzina. Precisa: c’è un «rischio sociale». La pensa come Prodi anche Flavio Briatore. L’imprenditore svela: «La F1 sta sviluppando una benzina pulita a zero emissioni che sarà pronta nel 2026».

Imprese automobilistiche e sindacati finora, però, erano isolati sui dubbi e le critiche alla svolta elettrica e all’abbandono delle auto a benzina e diesel. Ora, invece, possono contare sul sostegno di una autorevole voce politica. La speranza è una correzione di rotta. L’inventore dell’Ulivo e del Partito democratico ci conta: «Forse gli stessi legislatori europei hanno nutrito qualche dubbio in materia quando hanno proposto un possibile riesame nel 2025».

La contestazione verso la decisione dell’Unione europea cresce. Il governo italiano critica lo stop ai motori a combustione. Il ministro dell’Ambiente Gilberto Pichetto Fratin ha annunciato il no dell’Italia nella votazione cruciale nel Consiglio europeo. Anche la Polonia è per il no. Nutrono dei dubbi la Germania, la Bulgaria, la Repubblica Ceca e l’Ungheria. La partita si potrebbe riaprire.