Di Battista è fuori dalla Camera dal 2018, è fuori dal Movimento 5 stelle dal 2021. Decide di non ricandidarsi come deputato cinque anni fa per fare il giornalista in giro per il mondo (Sud America, Iran, Russia), abbandona il M5S due anni fa per il sì al governo Draghi.
Alessandro Di Battista interpreta lo spirito grillino delle origini, quello di opposizione antagonista. Fa il movimentista, si erge a paladino dei diritti dei popoli del Sud America. Collabora al “Fatto Quotidiano” e a La7. Occupa le pagine dei giornali per scelte di vita alternativa come quando annuncia nel 2019: «Sto seguendo un corso da falegname» a Viterbo. Il maestro falegname apprezza il suo lavoro, ma poi l’ex deputato torna al giornalismo e alla politica. Inciampa nel soprannome di “Che Guevara di Roma nord” affibbiatogli da Dagospia.
In alcuni momenti si parla di lui come del possibile leader del movimento fondato da Grillo. Ma poi la spuntano prima Di Maio (un tempo suo grande amico) e poi Conte, entra in frizione con lo stesso Grillo, l’Elevato. Di Battista ha una linea intransigente: contro il sistema politico, l’élite, l’Europa, l’invio delle armi all’Ucraina. Accusa Di Maio e il vertice del Movimento: è un «ignobile tradimento» aver accettato di «portare a casa comode poltrone» con l’ingresso nell’esecutivo di unità nazionale guidato dall’ex presidente della Bce.
I grillini si sfaldano per le tante sconfitte elettorali, lasciano in tanti come Davide Casaleggio, figlio del cofondatore Gianroberto. Di Battista fa l’uomo-contro: lo scorso anno scrive il libro “Ostinati e contrari. Voci contro il sistema”. Tuttavia non diventa il leader di un “nuovo M5S” duro e puro, populista e sovranista come un tempo. Quando Giuseppe Conte è eletto presidente dei cinquestelle cambia linea: dice no all’invio di altre armi all’Ucraina, sembra maturare un “disgelo” a ridosso della caduta del governo Draghi. I due si sentono spesso lo scorso luglio, Di Battista apprezza Conte. Emerge una possibile convergenza sulla rifondazione contiana dei pentastellati, spostata su una linea più a sinistra e più populista. Ma alla fine non rientra e non sboccia la candidatura di deputato nelle elezioni politiche del 25 settembre. Di Battista accusa soprattutto l’opposizione di Grillo, un tempo il suo indiscusso faro.
Strano percorso. In molti, a più riprese, hanno fatto il tifo per Di Battista “capo” dei grillini e per il suo ritorno a Montecitorio. Adesso l’interessato tuona contro il governo di destra-centro presieduto da Giorgia Meloni: l’accusa di «fare cassa» tagliando il reddito di cittadinanza. È su una posizione analoga a quella di Conte. Ma resta fuori della porta del presidente cinquestelle, continua a fare il giornalista.