Più giorni passano e più le modalità di fusione tra Ubs e Credit Suisse fanno emergere dubbi e perplessità. Intanto perché il take-over che ha portato la prima banca svizzera (Ubs) a prendersi la seconda (Credit Suisse) ha dato vita a una concentrazione finanziaria senza precedenti, che vale sei volte l’economia nazionale.
Siamo quindi di fronte a un potere economico talmente sproporzionato nelle mani di una sola impresa che in qualsiasi Paese a economia di mercato avrebbe portato l’Antitrust a bloccare l’operazione.
Una forzatura, è stata la giustificazione, una decisione dovuta a una circostanza eccezionale, ossia al fatto che Credit Suisse era sull’orlo del fallimento. Questo comunque non spiega troppe cose. Per esempio, perché a pagare il prezzo dei conti in rosso non siano stati gli azionisti, ma i soli obbligazionisti, che di solito non vengono toccati e questa volta si sono visti cancellare i bond perdendo i loro soldi.
Anche qui, la giustificazione è che è tutto legale e il possibile sacrificio degli obbligazionisti era stato messo nero su bianco, anche se piccolo piccolo, nei contratti che avevano firmato. Resta invece tutta da dimostrare la solidità giuridica di una fusione di questa portata fatta in un fine settimana senza un solo voto. Anzi, senza essere nemmeno sottoposta a un’assemblea di azionisti.
Il take-over e tutte le condizioni contrattuali del passaggio di Credit a Ubs sono stati imposti direttamente dalla Banca nazionale svizzera, dall’Autorità di vigilanza sui mercati finanziari (FINMA) e dal Dipartimento delle Finanze. La cosiddetta “Trinità”, che questa volta è uscita allo scoperto, ma proprio perché ci ha messo la faccia non avrebbe accettato alcun tipo di mediazione.
Il problema è che in questo modo è stato completamente distrutto il mito dell’affidabilità del sistema finanziario svizzero e delle sue banche. Un mito che, comunque negli ultimi anni proprio il Credit Suisse aveva intaccato con una serie di operazioni discutibili e non sempre trasparenti.
Dallo spionaggio ai danni di Ubs, che a febbraio del 2020 costarono la poltrona all’amministratore delegato, alla multa di 475 milioni di dollari arrivata a ottobre 2021 per un caso di corruzione interna legato a un prestito al Mozambico. Poi c’è stata la condanna arrivata a marzo 2022 da un giudice delle Bermude che ha imposto il risarcimento di 553 milioni di dollari a causa del fallimento di un’assicurazione sulla vita legata a Credit Suisse. E si tratta solo di alcuni esempi.
Ma tutto questo, a 46 anni dalla pubblicazione di “Una Svizzera al di sopra di ogni sospetto”, libro in cui Jean Ziegler denunciava il ruolo esercitato dalla “potenza finanziaria svizzera” nel capitalismo mondiale, grazie a un sistema bancario basato sul segreto e sui conti numerati è come minimo sconcertante. Perché osservando quanto sta emergendo dalla fusione di Ubs e Credit Suisse è come se il sistema finanziario svizzero, gratta gratta, sia rimasto quello descritto quasi mezzo secolo fa nel libro-denuncia di Ziegler.