Ha accentrato nelle sue mani gran parte dell’azione dell’esecutivo, Giorgia Meloni, e quindi non c’è dossier che non passi dalla sua scrivania prima di arrivare ai ministeri competenti. Una concentrazione che a Palazzo Chigi non si era mai vista. Come se la premier volesse dimostrare, sostengono gli avversari e sussurrano gli alleati malpancisti, chi è che comanda veramente nel governo e nella maggioranza.
Per Silvio Berlusconi, che non ha mai sopportato il trionfo di Giorgia Meloni alle politiche del 25 settembre e la sua ascesa alla guida del centrodestra, non ci sono dubbi: la premier è “supponente e arrogante”. Proprio come scrisse il 14 ottobre scorso in quel foglietto galeotto poggiato sul suo banco di Palazzo Madama che, immortalato dalle telecamere, divenne subito virale e avrebbe potuto mettere a rischio la maggioranza.
Ma la pronta e gelida risposta dell’interessata («A Berlusconi non devo nulla e non sono ricattabile») mise subito fine alla contesa e al tentativo del fondatore di Forza Italia di soffocare sul nascere il costituendo governo presieduto dalla leader di Fratelli d’Italia. La durezza della replica era, poi, un avviso ai fratelli-coltelli del centrodestra, un modo per chiarire fin dall’inizio che la presidente del Consiglio in pectore, una volta a Palazzo Chigi, non avrebbe ceduto un centimetro né a Berlusconi né a Salvini.
Una conferma del tratto caratteriale “arrogante” della premier segnalato da Berlusconi negli appunti vergati a mano nell’aula di Palazzo Madama? Può darsi, ma l’obiezione è che quell’accusa veniva da chi, dopo aver dominato per una trentina d’anni il centrodestra come un re assoluto, non si rassegnava a vedersi spodestato. E per di più da una giovane donna.
Allora torniamo ai fatti. Come segnalato all’inizio, è sotto gli occhi di tutti che da quando è entrata a Palazzo Chigi la leader di Fratelli d’Italia ha accentrato un grande potere nelle sue mani. Ed è risaputo che non perde occasione per impuntarsi su questo o su quello (provvedimento o nomina che sia) quasi a voler sottolineare che è solo Lei a comandare.
Ma poi, quando meno te lo aspetti, arriva la sorpresa. Con Giorgia Meloni che imbocca la via del realismo accettando una mediazione. Come è appena successo nella delicata partita delle nomine ai vertici delle aziende di Stato. All’inizio sembrava che la premier volesse fare asso pigliatutto presentando una sua lista di nomi tutti suoi. Sembrava, appunto. Perché alla fine ha accettato il compromesso, cedendo a Salvini e Berlusconi i vertici dell’Enel.