Scostamenti di bilancio, commissione europea, sindacati. Sono tante le difficoltà. Giorgia Meloni era tranquilla, invece il governo arranca nonostante la larghissima maggioranza su cui può contare. Un sinistro flop c’è stato giovedì 27 aprile a Montecitorio.
La Camera ha bocciato la risoluzione della maggioranza sugli scostamenti di bilancio per il 2023 e il 2024, tra i passaggi più importanti della strategia economica dell’esecutivo (Def). I sì sono stati solo 195, 6 in meno della maggioranza assoluta richiesta: 45 i deputati assenti, 25 assenti ingiustificati della coalizione (11 della Lega, 9 di Forza Italia, 5 di Fratelli d’Italia) hanno causato il patatrac.
Giorgia Meloni, impegnata in un viaggio a Londra per garantire sul piano internazionale la stabilità politica e finanziaria italiana, è rimasta scioccata. La presidente del Consiglio ha lanciato un appello alla responsabilità. Ha cercato di contenere i danni: «È stato un brutto scivolone, una brutta figura». Ha scartato lo spauracchio di contrasti all’interno dell’alleanza di destra-centro tante volte scoppiati con Berlusconi e Salvini: «Non ci vedo un problema politico». Il governo arranca.
Successivamente il Parlamento, pur nel caos, ha approvato le scelte dell’esecutivo. A Montecitorio sono passate con 221 voti a favore e 116 contrari. La votazione si è svolta tra urla, insulti, si è sfiorato lo scontro fisico. Il Pd più volte ha abbandonato l’aula della Camera per protesta. Il capogruppo di Fratelli d’Italia Tommaso Foti, dopo aver chiesto scusa agli italiani, ha incendiato gli animi strigliando gli avversari: «Consiglierei le opposizioni di guardare le sue assenze». È un discorso singolare: è invece un dovere della maggioranza garantire il sostegno e i numeri all’azione del governo.
Il clima si va sempre di più surriscaldando per il ministero Meloni: emergono contrasti con la commissione europea sui migranti e sulla realizzazione degli investimenti previsti nel Pnrr (Piano nazionale di ripresa e di resilienza) al quale sono legati i fondi concessi da Bruxelles all’Italia (con grande fatica è passato il pagamento della terza rata). Persistono le divergenze con la Ue sulla riforma del Patto di stabilità per l’euro. Le agenzie finanziarie internazionali esprimono dei dubbi sulla sostenibilità del debito pubblico tricolore. E ancora: le forze politiche della coalizione spesso parlano lingue diverse; dentro Fratelli d’Italia emergono di frequente nostalgie per il Ventennio prontamente sanzionate dalla Meloni senza arrivare alla svolta antifascista.
Davanti alle difficoltà la presidente del Consiglio accelera. Discute con la commissione europea, sigla un Memorandum d’intesa con il primo ministro britannico Rishi Sunak. Rende inossidabile la sua impostazione atlantica di sostegno all’Ucraina contro l’aggressione russa.
Discute e va allo scontro con Cgil, Cisl, Uil chiamate “la triplice” con un antico termine dispregiativo. Maurizio Landini definisce «arrogante e offensiva» la riunione del governo fissata per il Primo Maggio, festa dei lavoratori, per varare il Decreto Lavoro. Boccia l’incontro sindacati-esecutivo su decisioni «già prese». Giorgia Meloni replica: «Non è una mancanza di rispetto…È un segnale, una mano tesa».
Il Primo Maggio, data fortemente simbolica, riunisce il Consiglio dei ministri e vara il Decreto Lavoro. Aumenta temporaneamente le buste paga medio-basse tagliando il costo del lavoro, dà incentivi all’occupazione giovanile. Asseconda la richiesta delle aziende per avere maggiore flessibilità: allunga la durata dei contratti a termine e allarga l’uso dei voucher (i buoni per pagare soprattutto le attività occasionali nel turismo e nell’agricoltura). Non tiene la consueta conferenza stampa finale, un chiaro segno di difficoltà.
Landini (Cgil), Sbarra (Cisl) e Bombardieri (Uil) annunciano “una mobilitazione unitaria” contro il decreto che “aumenta la precarietà”.
Giorgia Meloni scommette tutto sulla crescita economica. Lavora per presentarsi bene all’appuntamento con le elezioni del 2024 del Parlamento europeo. Sempre che la maggioranza regga fino a questa prova. La presidente del Consiglio non vede «un problema politico». Forse la caduta patita alla Camera giovedì 27 aprile sugli scostamenti di bilancio è stata solo un problema di sciatteria, di deputati della maggioranza ipnotizzati dalla magia del “ponte lungo” fino alla festa del Primo Maggio. Chissà.