La mossa è ardita: Eurolandia modello Svizzera. Ugo Intini lo chiama “piano B”, basato sul dialogo internazionale e buone relazioni con la Cina. Intini, quasi 82 anni, ex direttore dell’Avanti!, ex portavoce del Psi di Bettino Craxi, già vice ministro degli Esteri nel governo Prodi 2 e sottosegretario alla Farnesina nell’esecutivo Amato 2, pensa e spera che sia possibile costruire una Europa forte e unita.
La via è quella del dialogo tra sistemi e paesi diversi. La premessa politica è quella socialista di sempre: una Italia e una Europa alleati leali degli Usa ma non subalterni. Quindi lancia un’idea: trasformare i paesi di Eurolandia in uno Stato simile alla Repubblica Elvetica: un paese con popolazioni che parlano lingue diverse (come succede in Europa), celebre da secoli per benessere, democrazia, neutralità dai grandi blocchi internazionali. In un articolo pubblicato su Mondoperaio, il mensile del Psi, illustra la proposta: individua il “nucleo” di Eurolandia da rivedere secondo il modello Svizzera. Sceglie gli Stati con la moneta unica europea per la loro omogeneità. L’obiettivo è una Europa unita sul piano politico, forte, in grado di pesare nei rapporti internazionali. Tralascia le altre nazioni dell’Unione Europea. Lascia fuori la Polonia e l’Ungheria, ad esempio, perché sono paesi dai tratti illiberali. Non solo: Varsavia è troppo legata a Washington e Budapest è troppo vicina a Mosca.
La Cina, secondo Intini, è un interlocutore prezioso: va sottratta dall’Europa all’abbraccio molto pericoloso con la Russia. Va evitato un devastante conflitto tra gli Stati Uniti d’America e la Repubblica Popolare Cinese, una ipotesi non più improbabile per la politica muscolare di Joe Biden.
Lo spazio per farlo c’è, spiega in “Testimoni di un secolo”, il suo ultimo libro nel quale parla dei tanti statisti conosciuti in 60 anni di lavoro da giornalista e da politico. Sostiene: Pechino ha sempre voluto un rapporto speciale con l’Europa, puntando sull’unità politica del vecchio continente. Cita i suoi incontri a Pechino con i successori di Mao Zedong: Hua Guofeng e Yang Zemin. Scrive: Yang Zemin ribadì «come il suo predecessore Hua, l’importanza dell’Europa politicamente unita». Da ingegnere si appellò alla fisica: «Un oggetto non si regge certo su due gambe. Anche su quattro gambe può essere traballante. Il massimo della stabilità è garantita da tre gambe». L’allora presidente del Partito Comunista Cinese e presidente della Repubblica Popolare pensava al suo paese, agli Stati Uniti e all’Europa per formare le “tre gambe” al centro dei rapporti internazionali. Allora le relazioni tra Cina e Russia erano pessime e conflittuali: Yang Zemin stava realizzando il boom economico del Dragone attuando la politica di liberalizzazione del mercato voluta da Deng Xiaoping. Ora tutto è cambiato in peggio.
Certo Ugo Intini va controcorrente ma i fatti gli cominciano a dare ragione. Joe Biden al vertice del G7 di Hiroshima rassicura Xi Jinping: non c’è alcun cambio su Taiwan in merito alla «politica della ‘Unica Cina’». Anzi, il presidente americano si aspetta «un disgelo molto a breve con la Cina». È un discorso molto diverso di quando annunciava l’intervento militare americano in caso d’invasione cinese dell’isola.
Così Biden dal Giappone, a un passo dai confini con la Repubblica Popolare Cinese, apre al confronto con Pechino mentre dà il disco verde agli alleati occidentali per fornire a Kiev anche i caccia F16 americani con grande disappunto di Vladimir Putin.
Sul tavolo di Joe Biden per la guerra in Ucraina adesso non c’è solo l’opzione militare, ma anche una possibile soluzione politica. Il presidente degli Stati Uniti di fatto incoraggia delle trattative, in particolare quelle avviate dal presidente cinese Xi. Le proposte dirette a un cessate il fuoco si moltiplicano: si spendono la Cina, il Brasile, l’India, il Vaticano, la Turchia.
La voglia di pace cresce in tutto il mondo dopo oltre un anno di guerra, centinaia di migliaia di morti ucraini e russi, distruzioni immani, sanzioni economiche alla Russia con effetti pesanti soprattutto per l’Europa. Le guerre degli Usa in Afghanistan, Iraq, Siria, Somalia, Libia non hanno esportato la democrazia ma causato solo disastri: o sono rimasti in sella dei dittatori o sono sorti degli “Stati falliti” in balia del caos e del terrorismo.