A un anno esatto dalle elezioni europee, i pochi premier socialisti alla guida di Paesi dell’Unione continuano a cadere uno dopo l’altro. Come birilli. L’anno scorso ha cominciato la Svezia, storica roccaforte della sinistra scandinava, che ha cambiato rotta con la nomina a primo ministro del conservatore Ulf Kristersson, il leader del Partito Moderato.
Ad aprile è stata la volta della Finlandia, con la sconfitta della premier Sanna Marin e dei socialdemocratici che hanno chiuso le elezioni per il rinnovo del Parlamento al terzo posto con 43 deputati. Cinque meno del Partito di Coalizione Nazionale, primo con 48 eletti, ma anche tre seggi meno dei Veri Finlandesi, la destra radicale che ha portato a casa il secondo posto e 46 seggi.
Dall’Europa del Nord a quella del Sud la musica non cambia.
In Spagna il premierato del socialista Pedro Sanchez, a meno di un miracolo, sembra prossimo a finire con le politiche del prossimo 23 luglio. Elezioni generali anticipate che proprio Sanchez ha convocato a sorpresa dopo la dura sconfitta subita dalla sinistra alle amministrative del 28 maggio. Ma lo scioglimento delle Cortes (il Parlamento spagnolo) e il voto politico anticipato appaiono solo come il tentativo del premier di limitare i danni a sinistra dopo la battuta d’arresto segnata dai socialisti e dai suoi alleati di governo. Una mossa per polarizzare lo scontro con la destra mettendosi personalmente in gioco.
Il problema è che a luglio la sinistra spagnola dovrà fare i conti con un elettorato che dopo quattro anni di emergenze (Covid, guerra in Ucraina, inflazione) sembra stanco e deluso dai risultati del governo a guida socialista. Non a caso, alle ultime amministrative ha premiato i tradizionali avversari della sinistra (il Partito popolare e gli ultraconservatori di Vox) con la conquista di Barcellona, Siviglia, della Comunità valenciana e di quasi tutte le città importanti chiamate al voto.
In una situazione del genere, con i partiti progressisti alle corde in gran parte d’Europa (e non solo) è difficile immaginare una conferma a Bruxelles e Strasburgo dell’attuale alleanza politica tra PPE e PSE. Il probabile ridimensionamento del gruppo socialista e la più che probabile crescita della destra, dovrebbe portare a una nuova alleanza di governo tra PPE ed ECR, il gruppo dei Conservatori e Riformisti Europei attualmente presieduto da Giorgia Meloni. Che grazie a questo ruolo conta di poter contribuire a quello spostamento a destra degli equilibri politici dentro l’UE. Il che le permetterebbe anche di regolare tanti conti in sospeso tra Roma e Bruxelles.