«Il presidente non sa nulla di come funziona l’economia». Così il Wall Street Journal (WSJ) in un editoriale del 2022 in cui analizzava la Bidenomics, la strategia di Joe Biden sull’economia. Il WSJ è un giornale ovviamente conservatore e quindi non sorprende il poco amore per la gestione dell’economia da parte dell’inquilino della Casa Bianca.
Biden però ha ribattezzato il termine Bidenomics che la destra ha usato efficacemente come slogan del cosiddetto fallimento economico. Lo confermano anche i sondaggi. Solo il 36 percento degli americani approva l’operato del presidente per quanto riguarda l’economia. I fatti però contraddicono questa analisi ma la retorica della destra è riuscita a colorare la realtà con lenti nerissime.
Quando Biden s’insediò nel 2021 ereditò una situazione economica a brandelli dovuta in grande misura alla pandemia. Trump invece, nel 2016, aveva ereditato un’economia in crescita iniziata durante la presidenza di Barack Obama. Nei primi tre anni di mandato Biden è riuscito a riportare l’economia in ottimo stato. La legge approvata per affrontare la pandemia e in seguito quella sulle infrastrutture hanno avuto effetti positivi, creando 13 milioni di posti di lavoro, riducendo la disoccupazione al 3,5 percento, producendo notevoli profitti alle corporation.
La “macchia” su questo quadro roseo è stata l’inevitabile inflazione, considerando gli enormi investimenti del governo per rimettere in moto l’economia del Paese. Ma anche con il problema dell’inflazione, gli Stati Uniti con Biden stanno facendo progressi. Gli ultimi dati ci dicono che l’inflazione è scesa al 4 percento grazie alla politica monetaria del governo di raffreddare leggermente l’economia, evitando allo stesso tempo lo spauracchio della possibile recessione. Alcuni analisti avevano intravisto all’orizzonte una probabile contrazione economica ma adesso si crede che l’atterraggio sarà soffice. Ciononostante lo stato dell’economia rimane solido con più di 340 mila nuovi posti di lavoro creati nel mese di maggio del corrente anno.
Biden non ha ricevuto il dovuto credito per i miglioramenti della situazione economica. Ciò si deve alla poca capacità della Casa Bianca e dei democratici in generale di sottolineare gli aspetti positivi del loro operato. Inoltre rimane costante nella mente dell’americano medio il mito che i repubblicani sono più efficaci nel campo economico mentre i democratici si concentrano sugli aspetti sociali e la ridistribuzione delle risorse mediante tasse più alte. Si tratta però di un mito come ci conferma la storia. Nel periodo dopo la Seconda guerra mondiale l’indice della Borsa statunitense Standard and Poor (S&P), che segue le 500 aziende più importanti, è aumentato dell’11% in presidenze democratiche ma solo del 6,9% in presidenze repubblicane. Dagli anni Ottanta dei tempi di Ronald Reagan all’era di Trump i presidenti repubblicani hanno amministrato durante quattro recessioni, definite come due trimestri consecutivi di decrescita economica. In questi anni in considerazione le recessioni durante presidenze democratiche sono state zero.
Alcuni analisti hanno chiarito che i democratici al governo mettono più soldi nelle tasche degli individui invece delle corporation. I soldi in tasca della classe media vengono spesi per comprare i prodotti che le aziende producono, riciclando i quattrini e creando benessere per tutti. Inoltre i democratici mirano a lungo termine, investendo di più nelle scuole e nelle infrastrutture. Di solito aumentano le aliquote alle classi abbienti senza però diminuire il numero dei ricchi. I repubblicani invece riducono le aliquote alle classi alte senza però preoccuparsi dei deficit poiché fanno pagare le spese alle future generazioni prestandosi più soldi.
L’esempio più visibile ci viene fornito dall’amministrazione di George W. Bush (2000-2008), che non solo ridusse le tasse alle classi alte e le corporation ma poi intraprese le guerre in Iraq e Afghanistan senza però chiedere agli americani aumenti di tasse per coprirne i costi. Tutte queste spese sono state ovviamente responsabili di aumenti notevoli del deficit e del debito nazionale.
Biden ha capito l’importanza dell’economia alla sua possibile rielezione. In un recente discorso a Chicago ha abbracciato il termine Bidenomics che i repubblicani hanno disprezzato, colorandolo di tutte le tinte negative possibili. L’attuale residente della Casa Bianca ha dunque sfidato i repubblicani e gli elettori in generale a rivalutare il suo operato in campo economico. L’attuale presidente ha ribadito la sua teoria economica contrastandola con quella di Reagan.
La filosofia del 40esimo presidente si basava sul concetto del “trickle down economics”, ossia di favorire tagli fiscali che generano produttività e ricchezze per i benestanti che poi “goccioleranno” anche ai poveri. Biden invece sostiene che bisogna concentrarsi sulla classe media e i ceti bassi, investendo fondi governativi che non solo producono profitti per tutti ma risolvono allo stesso tempo problemi per la società.
L’attuale presidente sottolinea in questa luce la legge sulle infrastrutture e gli investimenti che persino i repubblicani che hanno votato contro la legge sono adesso costretti ad accettare e apprezzare i benefici per i loro Stati. Infatti, secondo uno studio i “red states”, conservatori, riceveranno più di 600 miliardi di dollari in investimenti per energie pulite comparati a 350 miliardi per i “blue states”, ossia quelli governati dai liberal.
Abbracciando il termine originariamente negativo di Bidenomics l’attuale presidente spera di fare la stessa cosa di Obama con la legge sulla sanità approvata nel 2010. All’inizio furono i repubblicani ad usare il termine Obamacare colorandolo di sfumature negative. Obama però decise che gli piaceva il termine e se ne impossessò. Adesso dopo 13 anni, milioni di americani sono riusciti ad ottenere l’assicurazione medica grazie a Obamacare. Biden spera che Bidenomics seguirà la stessa riabilitazione e ovviamente che lui, come Obama, riesca ad ottenere il suo secondo mandato alle prossime elezioni nel 2024.
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Domenico Maceri, PhD, è professore emerito all’Allan Hancock College, Santa Maria, California. Alcuni dei suoi articoli hanno vinto premi della National Association of Hispanic Publications.