La missione americana di Giorgia Meloni è stata indubbiamente un successo. Risultato che – come ha sottolineato Rodolfo Ruocco su Sfoglia Roma – non era poi “così scontato”.
Onore alla premier di destra che è riuscita a farsi dare dal democratico Biden una “polizza vita” Usa sul fronte internazionale. Ma dal prendere atto del realismo politico messo in campo da Giorgia Meloni nel suo faccia a faccia con il capo della Casa Bianca, a farne una “statista” ce ne corre.
Eppure è proprio questa la “narrativa” che prevale nel nostro sistema mediatico in gran parte vicino al governo di destra-centro che intanto ha monopolizzato i due terzi degli spazi riservati all’informazione (si fa per dire) politica. Per rendersene conto basta dare un’occhiata a giornali e telegiornali. A cominciare dai notiziari Rai, secondo i cui servizi (qui in senso letterale) Giorgia Meloni è quasi sempre descritta come un leader politico di peso che sta regalando all’Italia un nuovo ruolo “centrale”. In Europa, in Occidente e nei nuovi equilibri in costruzione sullo “scacchiere politico internazionale”.
Comunque sia, una cosa è certa: siamo di fronte a una premier “double-face”. Una faccia sul fronte internazionale dove, mostrandosi europeista e atlantista, cerca di far dimenticare la natura post fascista del partito che ha fondato e con cui è sbarcata a Palazzo Chigi. E così la politica estera viene giocata con partite solitamente non previste dal repertorio della destra sovranista. E, allora, ecco la svolta atlantista meloniana, il suo “sostegno pieno” all’Ucraina, l’allineamento totale con gli Usa e il rapporto con l’attuale presidente della Commissione Ue, la popolare Ursula von der Leyen.
Rapporto, quest’ultimo, interessato da ambo le parti. Dal momento che Meloni cerca di attenuare le frizioni con Bruxelles, mentre la numero uno della Commissione punta a una possibile riconferma nell’incarico dopo le elezioni europee del 2024, questa volta con i popolari senza i socialisti (dati in calo nei sondaggi) e con una nuova maggioranza aperta ai conservatori europei (dati in ascesa) guidati proprio da Giorgia Meloni.
Se questo è il quadro, la sovraesposizione mediatica della nuova “statista” italiana serve fondamentalmente a rafforzare l’immagine di Giorgia. Un anticipo di campagna elettorale in vista delle europee del 2024. Una propaganda giocata sulla quotidiana esaltazione dei “successi” internazionali veri o presunti della nostra premier.
Adesso resta da capire se tutto questo basterà per consolidare il potere dell’attuale inquilina di Palazzo Chigi. A suo favore gioca certamente la fragilità di un’opposizione, Pd e Cinquestelle, sempre più inconsistente e confusa. Ma prima o poi la presidente del Consiglio dovrà fare i conti con i “casi e casini” creati da una maggioranza e da una squadra di governo che non sempre sembra all’altezza.
L’elenco è presto fatto. Si va dalle accuse di stupro mosse al figlio del presidente del Senato La Russa, ai molti problemi economici della ministra Santanché, indagata a sua “insaputa”, alle ripetute esibizioni muscolari dei ministri dell’Interno e della Giustizia, alle dichiarazioni sulla “sostituzione etnica” degli immigrati fatte dal ministro-cognato Francesco Lollobrigida. E, tanto per rimanere in famiglia, come ignorare la sparata del first gentleman Giambruno, il giornalista compagno della premier, che dagli schermi di Mediaset ha attaccato il ministro tedesco dell’Ambiente che si era lamentato per il caldo italiano invitandolo a «tornarsene nella foresta nera».
In un quadro del genere, è difficile immaginare la capacità di tenuta di questa maggioranza quando arriverà l’autunno, probabilmente caldo, o subito dopo, con le elezioni europee. Sono momenti in cui la realtà potrebbe prendersi la sua rivincita sulla propaganda.
I fronti più deboli sono già visibili a occhio nudo. Per esempio, la decisione del governo di cancellare il reddito di cittadinanza dal 1 agosto per 169 mila nuclei familiari, senza nemmeno tentare di modificarlo per correggerne le storture, rischia di scatenare la rabbia del Sud. E, ancora, la lentezza con cui stanno arrivando gli aiuti per gli alluvionati di una regione (rossa) come la Romagna potrebbe trasformarsi in un boomerang.
La modifica di un PNRR pesantemente rivisto e corretto, che ha tagliato fondi ai Comuni (compresi quelli destinati al clima) e ha dato più soldi a Eni ed Enel, non può essere giustificata solo con la sola necessità di salvare terza e quarta rata congelate da Bruxelles. Come si difenderà il governo al prossimo disastro ambientale, quando – inevitabilmente – esploderà la polemica sui fondi europei tagliati all’ambiente?
Vedremo. Intanto, mentre la macchina della propaganda che costruisce la “narrativa” sulla Meloni “statista” continua a lavorare senza sosta, si può solo ricordare che la sovraesposizione mediatica a volte può trasformarsi in un boomerang politico letale. In tempi di politica liquida e di partiti personali, i casi di rapida ascesa e ancora più rapida caduta di premier mediatici sono in aumento.
L’ultimo è quello di Boris Johnson, il leader conservatore inglese che sulle ali della Brexit ha schiacciato i laburisti ed è diventato primo ministro. Ma il suo regno è durato solo poco più di tre anni, dal 2019 al 2022. Adesso, senza i numeri per scalare nuovamente il suo partito, e dopo essere stato appena costretto a dimettersi anche da deputato, a soli 59 anni è un pensionato della politica.