Come nella spesso citata commedia di Giovanni Narzisi, Al bagàj al sgrandìs, “l’affare si ingrossa”. Si racconta con dovizia di particolari, sapientemente fatti filtrare, che per quel che riguarda i “dossier riservati” (delicata espressione: sono dossier illegali, illegalmente raccolti, illegalmente resi noti) spunta «una lista lunghissima di politici e vip spiati. Si allarga l’inchiesta dei PM e ci sono almeno cento nomi che sarebbero finiti nei dossier del maresciallo della Finanza in servizio alla Direzione Nazionale Antimafia. Nel computer sequestrato anche i movimenti dei conti bancari».
Perfino la TV di Stato nei suoi notiziari, sia pure in servizi affogati tra vacanze e maltempo, ne riferisce con la dovuta prudenza. Cento appena, i dossier raccolti? C’è carenza di politici e di vip, in questo paese. Oppure non si è applicato molto il maresciallo: i suoi mandanti avrebbero ragione a non essere molto soddisfatti del suo operato…
Battute a parte, ecco la trita, logora, tutto sommato consolatoria affermazione: “Servizi segreti deviati”. Sono anni e anni di “deviazioni”. A forza di “deviare”, è quella la loro strada. Si può ben parafrasare l’ultima battuta del celebre film di Richard Brooks con Humprey Bogart: «That’s the State, baby, the State! And there’s nothing you can do about it. Nothing!». Solo che in questo caso non si tratta dell’“ultima” minaccia. “Semplicemente” è una delle tante che si aggiungono, in attesa di altre che verranno; un elenco sterminato, lungo quanto la storia dell’umanità.
I “classici” dovrebbero pur servire a qualcosa, ad ammonimento almeno: Publio Cornelio Tacito, racconta nei suoi Annales, a proposito del contrasto tra Cesare e Gallo. Scrive della proposta di quest’ultimo, mirante a «haud dubium erat eam sententiam altius penetrare et arcana imperii temptari», «Tale proposta penetrava senza dubbio più in profondità e mirava a sondare i segreti disegni del potere». Per non parlare della più calzante, ma meno conosciuta, teorizzazione del giurista tedesco Arnoldus Clapmarius: il suo distinguere tra “jura sive arcana imperii” e “arcana dominationis”: i primi, universali fondamenti dello Stato per garantirne la conservazione; i secondi, princìpi occulti usati dai governanti per non essere spodestati e conservare il potere.
Ad ogni modo, sì, vicenda inquietante. Ai più che doverosi e non meno inquietanti interrogativi che l’“affaire” ha sollevato in tanti, se ne può aggiungere uno: se l’indagine, come si assicura, è delicatissima, seguita direttamente dal procuratore capo di Perugia, come mai è stata resa nota nei termini che ora sappiamo: e in parte “bruciata”? Perché, da chi?
Ancora: la potenziale centrale di dossieraggio abusivo, all’interno della Direzione Nazionale Antimafia che “scava” nei conti correnti e nelle transazioni finanziarie di centinaia di personaggi noti, tra politici di primo piano, giornalisti e capitani d’industria, viene fuori grazie alla denuncia-querela del ministro Guido Crosetto, stupito di vedersi pubblicate sui giornali notizie che lo riguardano. Solo che queste notizie pubblicate non riguardano solo lui; nel corso del 2020 analoghe notizie erano state pubblicate su diversi quotidiani, «riguardavano personaggi politici di primo livello (Matteo Renzi, Giuseppe Conte, Rocco Casalino, soltanto per fare alcuni nomi… e avevano destato dei sospetti».
Sospetti rimasti tali per ben quattro anni, fino al passo ufficiale di Crosetto. Perché il solo Crosetto reagisce, gli altri no? Un’ottima ragione ci sarà certamente. Piacerebbe conoscerla. «A seguito della pubblicazione di miei dati personali e non pubblici, accessibili solo da parte di persone autorizzate, ho deciso di sporgere una querela alla procura di Roma per capire come fossero stati recuperati», spiega il ministro.
Comunque perlomeno curioso che all’interno della DNA nessuno abbia battuto ciglio ai sospetti che risalivano al 2020. Se ne deduce che ha ragione il maresciallo finito sulla graticola quando dice che era (è?) normale, usuale prassi e metodo… Infatti pare si difenda sostenendo che non c’è alcuna irregolarità; ammette, spiega che le “interrogazioni” al sistema venivano effettuate abitualmente dal suo ufficio per motivi di servizio.
Non da solo, non di nascosto, par di capire. E chi poi si incaricava di propalare, con quale criterio per la scelta dei soggetti, e dei tempi? Ovvio, scontato, che non si tratta di personale iniziativa.
Si accampano “motivi di servizio” che però al momento non risultano giustificati da alcuna richiesta: nessuno per motivi di indagine pare abbia chiesto di “scaricare” quei dati, che non sembrano finiti in nessuna informativa alle procure. Chissà: forse come ne L’anno del Signore di Luigi Magni, quel ritornello “buono a sapersi” a proposito del calzolaio Cornacchia/Pasquino che sa leggere e scrivere (Nino Manfredi), infine pronunciato dal cardinale Rivarola (Ugo Tognazzi) che ne sa far buon uso.
Più prosaicamente: l’eterno gioco del “io-so-che-tu-sai-che-io-so”. Poi, tutti insieme appassionatamente, attovagliati a spartirsi postazioni di potere: quello visibile e quello reale.