Per le opposizioni i tagli sono inaccettabili, per il governo la parola tagli non esiste. È un rebus la proposta di revisione del Pnrr (Piano nazionale di ripresa e resilienza) dell’esecutivo Meloni. Il ministero di destra-centro trema.
Tutti aspettano come una manna i finanziamenti europei in settori chiave dell’economia e della società italiana. Gli interventi urgenti da effettuare sono molti: alluvioni, riassetto idrogeologico, energie rinnovabili, rigenerazione delle periferie delle città, asili nido, residenze per studenti universitari, sanità, ferrovie. Ma non è scontato che arrivino regolarmente.
Raffaele Fitto invece assicura: Bruxelles pagherà tutti i 35 miliardi di euro della terza e della quarta rata del Pnrr entro il 2023, la commissione europea ha approvato il progetto di revisione del governo del Pnrr perché alcuni interventi non potevano essere attuati entro il giugno 2026. In particolare l’esecutivo vuole dirottare 15,8 miliardi di euro sul progetto europeo di risparmio e diversificazione nel rifornimento di energia. Il ministro per gli Affari europei garantisce parlando alla Camera e al Senato: «Non c’è nessun definanziamento».
Opposizioni, sindaci, presidenti di regione non la pensano così, sono in allarme perché mancherebbero all’appello 16 miliardi di euro. Il rapporto del Servizio studi della Camera in effetti ha fatto le bucce al progetto di revisione del Pnrr che sposta gli investimenti: non specifica «quali saranno gli strumenti e le modalità attraverso le quali sarà mutata la fonte di finanziamento delle risorse definanziate dal Pnrr». Salterebbero le attività contro le alluvioni, il dissesto idrogeologico. Salterebbero anche le azioni per l’efficienza energetica, l’utilizzo dell’idrogeno come energia pulita, la rigenerazione urbana delle periferie (sarebbe un grave problema, in particolare, per Roma e Napoli). I sindaci e i presidenti delle regioni temono il blocco totale o parziale degli investimenti e dei cantieri. Di qui la richiesta di certezze sulle «risorse sostitutive».
Elly Schlein, Pd, accusa il governo: «Il Parlamento è stato esautorato…Ci avete messo 10 mesi per decidere la cancellazione di progetti per 16 miliardi». Giuseppe Conte, M5S, gioca sul nome del ministro Fitto: sul Pnrr c’è «buio Fitto». Carlo Calenda, Azione, se la prende con l’incapacità dell’esecutivo Meloni «di gestire, implementare spendere» i fondi europei. Perciò «stiamo fallendo l’obiettivo. Fine».
Fitto respinge «gli scenari catastrofici» e annuncia: «Gli interventi del Pnrr vanno avanti regolarmente». Già, ma con quali strumenti e con quali risorse saranno finanziati i programmi fatti uscire dal Pnrr perché non realizzabili entro il 2026? Il rebus è tutto da risolvere. Giorgia Meloni e Ursula von der Leyen si stimano. Ma non è detto che la loro sintonia politica e umana riesca ad appianare le critiche tecniche della Ue alla proposta di revisione del Pnrr avanzata dall’Italia.
L’economia italiana comincia a vacillare sotto i colpi del caro denaro per gli investimenti, per l’alta inflazione, per il peso del debito pubblico. Se dovessero saltare in tutto o in parte anche i fondi Ue per il Pnrr allora sarebbero guai grossi.