Il primogenito di Joe Biden, Beau, morì di cancro al cervello nel 2015 all’età di 46 anni. Biden era allora al suo settimo anno di vicepresidente di Barack Obama e versava in condizioni economiche modeste e per pagare le spese del figlio stava considerando di vendere la propria casa. Obama, che aveva fatto notevoli guadagni con la pubblicazione dei suoi libri, gli disse di non vendere la casa, promettendogli di aiutarlo finanziariamente. Alla fine la situazione fu risolta senza problemi finanziari per l’allora vicepresidente.
Biden dunque sa qualcosa a livello personale sul grave problema delle spese mediche. L’approvazione della legge sull’inflazione dell’anno scorso, Inflation Reduction Act (IRA), include una misura che permette a Medicare, il sistema sanitario degli anziani, di negoziare il prezzo delle medicine. Il suo recente annuncio sull’eventuale riduzione dei costi dei farmaci mediante la negoziazione con Big Pharma avrà sicuramente toccato l’attuale inquilino alla Casa Bianca. Il 46esimo presidente ha dichiarato che «le aziende farmaceutiche» in America triplicano i prezzi in confronto a quelli in Paesi esteri, etichettando la situazione come «vergognosa».
Le negoziazioni sui prezzi dei farmaci avvengono all’estero ma per Medicare ciò era illegale perché la legge che aveva creato la componente del beneficio ai farmaci lo proibiva. La legge approvata nel 2003 durante l’amministrazione di George W. Bush intendeva fornire medicine a costi moderati agli anziani ma durante le negoziazioni al Congresso Big Pharma era contraria. Poi quando fu inclusa la clausola che il Medicare non avrebbe il diritto di negoziare i prezzi delle medicine Big Pharma smise di opporsi, rendendosi conto che ci avrebbero guadagnato notevolmente. In effetti, una parte delle medicine viene pagata dai consumatori e il resto, stabilito dalle aziende a prezzi stratosferici, lo paga il governo. In sintesi, la legge offrì notevoli guadagni garantiti senza controlli alle casse di Big Pharma.
Si tratta di spese ingenti e costi insostenibili specialmente quando si fa una panoramica comparativa con altri Paesi. Il costo di una medicina prodotta dall’azienda Merck per il diabete in Francia è di soli 16 dollari al mese mentre negli Usa raggiunge 547 dollari. Al livello nazionale gli Usa spendono 600 miliardi di dollari in medicine che vengono anche incoraggiate da annunci pubblicitari delle aziende farmaceutiche. Ovviamente queste spese per annunci incoraggiano i telespettatori a chiedere ai loro medici di considerare queste medicine, mettendo i professionisti nell’imbarazzo di prescriverle o no.
L’annuncio di Biden non risolve tutti i problemi ma è considerato un passo storico. All’inizio le negoziazioni si concentreranno su 10 medicine molto care usate per curare il diabete, il cancro e le malattie cardiovascolari. Nove milioni di americani ne beneficeranno e si prevedono risparmi di 100 miliardi di dollari nei prossimi dieci anni. La misura di Biden include anche un massimo di 2 mila dollari di ticket per i beneficiari di farmaci con Medicare. Sappiamo già che le negoziazioni con Big Pharma producono risparmi. La Veterans Administration che si occupa delle cure sanitarie dei veterani negozia e crea risparmi del 50 percento per le 340 medicine più usate, secondo uno studio di Bernie Sanders, senatore liberal del Vermont. Inoltre altre 106 medicine costano 75 percento meno di quello che paga Medicare. I risparmi emergono anche per i consumatori all’estero che comprano queste medicine.
Gli americani sono favorevoli alle negoziazioni dei farmaci (83 percento sì, secondo un sondaggio dell’agenzia Gallup). Le aziende farmaceutiche controbattono che dover negoziare con Medicare avrà un effetto negativo per le ricerche necessarie alla produzione di nuovi medicinali. Difficile capire perché solo Medicare dovrebbe sovvenzionare questi costi delle ricerche. In realtà il governo americano sovvenziona già queste ricerche in altri modi mediante contributi alle università che spesso fanno tante ricerche i cui risultati sono poi usati dalle aziende farmaceutiche. Lo si è visto nella produzione dei vaccini anti-Covid pochi anni fa.
Il piano di Biden consiste di usare gli indici di sei Paesi internazionali che includono l’Australia, il Canada, la Francia, la Germania, il Giappone e il Regno Unito come punto di partenza per le negoziazioni. Big Pharma non ci sta però e già ci sono state 8 denunce per cercare di bloccare le negoziazioni. Sembra improbabile che il governo perderà le cause che impediranno una graduale riduzione dei costi dei farmaci per gli americani come avviene all’estero.
C’è sempre però la possibile azione politica. Va ricordato che i repubblicani al potere con Donald Trump cercarono di abrogare Obamacare, la riforma sanitaria approvata dal 44esimo presidente nel 2010. Nel 2017 dopo l’abrogazione alla Camera i repubblicani persero al Senato di un solo voto (51 no, 49 sì) perché il senatore John McCain decise di votare contro il suo partito. Anche adesso l’abrogazione della legge che permetterà di negoziare i farmaci è già oggetto di discussione. Il parlamentare repubblicano del Texas Kevin Brady, commentando il piano di Biden, ha dichiarato che «le misure sulle medicine sono pericolose perché scoraggiano gli investimenti per la ricerca di altri farmaci che salverebbero vite umane». Le elezioni hanno conseguenze. Votare per i repubblicani si traduce spesso con benefici alle corporation a scapito della gente comune. Di questi giorni non pochi anziani devono scegliere fra cibo e medicine. Se Big Pharma guadagna fior di quattrini negoziando con gruppi negli Usa e all’estero perché non dovrebbe farlo anche con Medicare?
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Domenico Maceri, PhD, è professore emerito all’Allan Hancock College, Santa Maria, California. Alcuni dei suoi articoli hanno vinto premi della National Association of Hispanic Publications.