A Draghi, 76 anni, vanno stretti i panni del pensionato e del nonno. Immagina e propone «nuove regole e più sovranità condivisa» per salvare l’Europa. Scrive ai primi di settembre sull’Economist, propone un nuovo progetto di sviluppo per la Ue.
Vuole cancellare le vecchie regole del Patto di stabilità per l’euro sospese per l’emergenza Covid. Restano poco più di tre mesi di tempo, se non saranno cambiate entro dicembre dal primo gennaio 2024 saranno ripristinate e «sarebbe il peggior risultato possibile». Non può esistere una unione monetaria senza quella fiscale.
L’uscita dell’ex presidente del Consiglio già presidente della Bce (Banca centrale europea) non è stata presa bene dalla Germania e dalle altre nazioni rigoriste del nord Europa tradizionali alleate di Berlino. «Più sovranità condivisa» significa attivare risorse comuni europee per «ingenti investimenti in tempi brevi» in settori strategici come la difesa, la transizione verde e la digitalizzazione. Italia, Francia, Spagna e gli altri paesi europei con un alto debito pubblico e con pochi fondi a disposizione fanno il tifo per Draghi.
La partita ora si sposta a Bruxelles, sui tavoli della Commissione europea e del Consiglio europeo. Draghi considera finita la vecchia architettura Ue che poggiava su tre pilastri: l’energia a basso costo garantita dalla Russia, la sicurezza assicurata dagli Stati Uniti, le esportazioni industriali di qualità assorbite dalla Cina. Prima il Covid e poi l’aggressione di Putin all’Ucraina hanno fatto saltare i vecchi meccanismi. Ne ha sofferto tutta l’Unione europea ma soprattutto la Repubblica federale tedesca, grande acquirente del gas e del petrolio russi e forte esportatrice in Cina.
Draghi, il tecnico con una visione politica, indica ancora una volta nuove strade: propone fondi comuni europei per rispondere alle nuove sfide globali. Non è una impresa facile ma ha già vinto scommesse che sembravano impossibili. Nel marzo del 2020, in un articolo sul Financial Times, propose di ricorrere a una valanga di “debito buono” finanziato con risorse comuni europee per combattere il Covid, per impedire il crollo dell’occupazione e la chiusura delle aziende del vecchio continente sotto scacco per il Coronavirus.
All’inizio l’idea fu seccamente bocciata dalla Germania e dai suoi alleati virtuosi per non fare regali ai paesi “cicale” come l’Italia. Ma poi le proposte di debito collettivo, anche se faticosamente, passarono. Angela Merkel riuscì a convincere i suoi connazionali della bontà delle proposte di Draghi. La ex cancelliera tedesca argomentò: è nell’interesse della Germania avere una posizione solidale e pagare un piccolo prezzo perché se fallisse l’euro il costo per Berlino sarebbe molto più alto. Così la Bce comprò una enorme quantità di titoli del debito pubblico (in particolare dei paesi più indebitati come l’Italia) e la Ue varò dei piani di ricostruzione post pandemia (al nostro paese furono assegnati circa 200 miliardi di euro tra prestiti a basso costo e finanziamenti a fondo perduto).
Anche oggi, come tre anni fa, i no secchi e quelli sommersi alla proposta Draghi sono tanti. Non c’è più Angela Merkel con la sua grande visione europeista. Ma la Germania, al contrario della primavera del 2020, non è più la prima della classe: la sua economia è in affanno e Olaf Scholz se la passa piuttosto male. La Corte dei conti tedesca ha strigliato il cancelliere socialdemocratico: ci sarebbe un debito pubblico nascosto e il deficit sarebbe il doppio.
Ursula von der Leyen da mesi lavora a un compromesso. La mediazione della presidente della Commissione europea per ora non decolla. Adesso è arrivata la proposta per «più sovranità condivisa» di Mario Draghi. Il suo ammonimento è pesantissimo: se l’Unione europea non rivede il Patto di stabilità rischia di fallire nei suoi obiettivi climatici, di sicurezza e di perdere «la sua base industriale a vantaggio di regioni che impongono meno vincoli».
Bruxelles e i governi europei hanno poco tempo per trovare un accordo, per riformare il Patto di stabilità e l’impalcatura politica dell’Unione. Dal primo gennaio è previsto il ritorno dei vecchi parametri per l’euro: deficit pubblico al 3% del Pil (Prodotto interno lordo) e debito al 60%. Cifre lontanissime dalla capacità di bilancio dell’Italia ma anche di moltissime nazioni europee.