Le strade furono una delle nervature fondamentali della civiltà romana, prima della Repubblica e poi dell’Impero. Sulle vie consolari viaggiavano le legioni, le merci, gli scambi culturali tra paesi e popoli diversi. Adesso parliamo della via Aurelia. Pubblichiamo tre articoli di Maria Luisa Berti sulla via consolare che partiva da Roma, attraversava le regioni dell’Italia centrale e settentrionale per arrivare fino in Gallia. Oggi 25 settembre esce il primo pezzo.
La via Aurelia, ora Strada Statale n.1, è la più lunga tra le vie consolari per un totale di 970 chilometri di cui 698 in Italia.
I Romani, dopo la conquista di Veio (396 a.C.), avevano fondato nel territorio dell’Etruria meridionale varie colonie militari, soprattutto lungo la costa tirrenica, e per favorire le vie di comunicazione erano necessarie le strade. Fu perciò costruita la via Aurelia nel 241 a.C. per opera del censore Gaio Aurelio Cotta, oppure del console suo figlio nel 200 a.C. Essa utilizzava i tracciati delle vie etrusche preesistenti. Il primo tratto conduceva a Cosa, (nei pressi dell’Orbetello) antica città etrusca e colonia romana dal 273 a.C., poi proseguiva fino a Luni (Luna) e nel 109 a.C. giunse a Genua (Genova).
L’Aurelia Vetus iniziava sul Tevere al Pons Aemilius (il Ponte Rotto) la cui costruzione, secondo Plutarco e Livio, è attribuita al console Manlio Emilio Lepido verso il 241 a.C. Di quel ponte resta un troncone nei pressi del Ponte Palatino che collega Trastevere a Ripa. Il tracciato della via ricalca l’antica strada proveniente dall’Etruria che passava sul Ponte Sublicio, fatto costruire dal re Anco Marzio sul Gianicolo, poi incluso nelle mura aureliane. Da queste mura, attraverso la Porta San Pancrazio usciva la via. La porta si chiamava Aurelia, ma dal V sec. prese il nome del Santo Martire il cui vicino sepolcro e le catacombe, a lui dedicate, erano meta di pellegrinaggi.
All’interno dell’Urbe, dalla via Aurelia Vetus sono visibili le arcate dell’acquedotto di Traiano, inaugurato nel 109 e inglobate nel muro di cinta di Villa Pamphilj. L’acquedotto prendeva l’acqua dai Monti Sabatini, vicino al lago di Bracciano, scorreva sotto le vie Clodia e Trionfale per poi riemergere lungo le arcate e arrivare in città sul Gianicolo. Lungo la via l’arco tra il quartiere del Gianicolo e il quartiere Aurelio fu fatto costruire dal papa Paolo V che nel 1612 aveva fatto ripristinare l’acquedotto.
Un’importante testimonianza di età romana si trova a Villa Pamphilj situata in un grande parco pubblico. Nel 1984, nella zona del Casino dell’Algardi di questa villa, venne scoperto, durante scavi per una centrale elettrica sotterranea, un grande colombario dalle pareti affrescate, risalente all’età augustea ma utilizzato fino alla metà del II secolo d.C. Si tratta di un ipogeo funerario formato da una sala principale e da due ambienti più piccoli con volte a botte, capace di contenere i resti di circa 500 persone.
La sala più grande ha le pareti intonacate e decorate con pitture fino all’altezza della quinta fila di nicchie. Tra una fila e l’altra sono dipinte tabulae ansatae con i nomi dei defunti e immagini con funzione decorativa: ghirlande vegetali, frutti, animali, paesaggi miniaturistici, scene animate, maschere teatrali, vasi rituali. Il pavimento è a mosaico a tessere nere con frammenti di marmo colorato. In una grande tabula ansata in mosaico bianco, si trova l’iscrizione C. SCRIBONI[V]S C.L. MEN[OPHI]LVS, per cui l’ipogeo è ricordato come il colombario di Scribonio Menofilo.
Il Casale di Giovio, situato nel settore occidentale di Villa Doria Pamphilj, poggia su un edificio di età imperiale: era un sepolcro a tempietto, meglio conservato sul lato settentrionale con una muratura e una cortina di laterizi dal rosso cupo al giallo.
Nella zona si trova il sito di Malagrotta, Mola Rupta, nome che pare derivare da una mola i cui resti sono tuttora visibili sul fiume Arrone, nei pressi dei ruderi dell’antica città di Galeria.
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