A un anno esatto dal trionfo elettorale di Fratelli d’Italia (25 settembre 2022) e dopo undici mesi trascorsi a Palazzo Chigi, per Giorgia Meloni è arrivato il momento di un bilancio. Ma, a differenza di tanti esponenti del suo partito che fanno a gara per festeggiare il primo compleanno con squilli di trombe e sventolii di bandiere, la premier cerca di abbassare il più possibile le luci della festa.
Il primo segnale di questa nuova strategia comunicativa lo ha dato in una lunga intervista al Tg1 di sabato 23 settembre, dove ha usato toni insolitamente soft: «L’Italia oggi è più credibile, più stabile, più ascoltata… Penso che il bilancio debbano farlo gli italiani… È l’inizio di un lavoro che va però giudicato alla fine dei 5 anni …».
Niente trionfalismi, dunque. Perché dopo il suo primo anno alla guida del Paese, vissuto pericolosamente ma con una maggioranza forte e un’opposizione inesistente, subito dopo le Europee la premier potrebbe trovarsi sotto il diluvio. Considerate le molte incognite e i tanti problemi irrisolti in Italia e fuori. Per avere un’idea di cosa rischia il governo sovranista bastano due soli esempi, uno nazionale e l’altro europeo: gli aiuti alla Romagna colpita dall’alluvione e la mancata firma del Mes, il Meccanismo europeo di stabilità.
Quello degli aiuti che a quattro mesi dall’alluvione non sono ancora arrivati a ben 23 mila romagnoli costretti a lasciare casa è una bomba destinata ad esplodere. Per ora la cosa viene tenuta sotto sordina, ma la confusione è tale che mancano perfino i moduli per chiedere gli indennizzi. Nel silenzio del governo e della maggioranza, il povero commissario, il generale Figliuolo, non sa che pesci prendere ed è costretto a barcamenarsi con frasi tipo: «I soldi ci sono…. l’obiettivo è il riconoscimento completo del danno… Per chiedere gli indennizzi adesso c’è comunque tempo entro la fine dell’anno…».
La mancata firma del Mes da parte dell’Italia rischia invece di aprire un durissimo scontro tra Roma e Bruxelles. Perché il Fondo dovrebbe partire con l’inizio del prossimo anno ed è stato sottoscritto da tutti gli altri Paesi dell’Ue. A questo punto, quindi, il blocco operativo dipende soltanto dalla mancata ratifica del governo italiano.
Naturalmente il Mes alla fine verrà firmato. Intanto, però, considerata la situazione con i conti in rosso, le difficoltà di bilancio e la necessità di non tirare troppo la corda con l’UE, Giorgia Meloni per il suo primo compleanno a Palazzo Chigi sceglie una comunicazione dai toni insolitamente soft. E nell’ora di massimo ascolto del maggior TG nazionale si presenta agli italiani addirittura con l’ammissione di un flop, quello sull’immigrazione: «Speravo meglio. Abbiamo lavorato tantissimo, i risultati non sono quelli che speravamo di vedere … si tratta di un problema molto complesso, ma sono certa che ne verremo a capo. Questo tema merita una seconda fase …».
Perfetto. Allora resta da capire perché il governo, almeno fino alla tragedia di Cutro, in cui morirono 93 migranti mentre cercavano di sbarcare in Calabria, è andato avanti a testa bassa con proclami anti-immigrazione, accuse, minacce gridate ai quattro venti e continue esibizioni muscolari. Chiusure di porti, sequestro delle navi delle Ong, ordini di rimpatrio e via di questo passo. Il tutto amplificato dalla stampa amica con titoli tipo “Avviso ai clandestini”. Titoli che, letti adesso, con gli oltre 160 mila migranti arrivati in Italia in un anno di governo sovranista, suonano ridicoli.
Ma le elezioni europee sono alle porte, Giorgia Meloni deve guardarsi da Salvini e dalla propaganda anti immigrati che prolifera a destra. Ecco allora che il Consiglio dei ministri approva i CPR, i nuovi centri di permanenza fino al rimpatrio presentati dal ministro Piantedosi. Altra misura improvvisata e destinata ad essere rivista.
Perché non c’è un solo governatore disposto ad ospitare un CPR nella sua regione, e perché il limite di 18 mesi fissato per la permanenza in un CPR suona come una detenzione e come tale verrà impugnato in sede Ue. Quanto alla incredibile cauzione di cinquemila euro per evitare di finire in un CPR si commenta da sola.
Stando così le cose, i CPR sembrano destinati a un’altra marcia indietro, come è già accaduto per altri provvedimenti presi in fretta e furia a uso prevalentemente mediatico. Ultimo esempio della serie è la tassa sugli extraprofitti bancari ormai ridotta a poca cosa (0,26 per cento) e che le banche potranno addirittura evitare destinando l’importo ad aumento di capitale.
A ben guardare il percorso del governo sovranista assomiglia sempre più al cammino a ritroso tipico del gambero. Cosa che naturalmente non contribuisce ad aumentare la fiducia. A cominciare da quella dei mercati, che pure fino all’estate hanno guardato con interesse alla svolta moderata della Meloni atlantista e filo UE. Cosa testimoniata dall’andamento dello spread che ad agosto era ancora sotto i 170 punti e dall’inizio di settembre ha ripreso a salire avvicinandosi sempre di più a quota 200.