Una rete fitta di vie consolari in Italia e in tutto l’Impero. Era questo lo strumento della supremazia di Roma. Prima la Repubblica e poi l’Impero Romano curarono con grande attenzione la costruzione delle opere pubbliche. Le strade, gli acquedotti, i ponti, le terme, i templi, gli anfiteatri, i circhi per le corse delle bighe, i teatri, le palestre, le biblioteche furono alla base della potenza e dell’egemonia dell’Urbe. Maria Luisa Berti racconta come, quando e perché furono costruite le vie consolari. Il 29 ottobre abbiamo pubblicato il primo articolo, oggi 31 segue il secondo.
Prima di iniziare la costruzione di una strada, venivano fissati dei pali nel terreno per indicare il tracciato, che doveva essere diritto. Quindi i libratores con gli aratri, assieme ai legionari con le spade, scavavano il terreno fino ad uno strato duro: si formava così una fossa profonda dai 60 cm ad un metro ma, se necessario, si poteva scendere fino a due metri. Le strade romane erano costruite a strati: il più profondo, lo statumen, era di sassi e argilla; il secondo strato, rudus, era fatto di pietre, mattoni rotti con sabbia e impastati con calce; il terzo strato, nucleus, era di pietrisco e ghiaia. La copertura, il summum dursum, era formata da lastre levigate di pietra, che combaciavano tra di loro, e aveva la parte centrale più alta dei bordi per favorire lo scolo delle acque. Ai lati potevano esserci dei marciapiedi lastricati. Viae Stratae, appunto perché costruite a strati, da cui la parola italiana strada, l’inglese street e la tedesca strasse.
La lunghezza di una via era misurata dall’Odometro, descritto da Vitruvio e che era un congegno di ingranaggi dentati, applicato a uno degli assi del carro e regolato secondo la circonferenza della ruota. Un miglio corrispondeva a 400 giri della ruota e, a ogni giro, i denti dell’ingranaggio azionavano un dispositivo che faceva cadere un sassolino in un recipiente. La conta dei sassolini permetteva di calcolare la lunghezza del percorso.
Nel Foro Romano, vicino al tempio di Saturno, si trovano i resti del Miliarum Aureum, la pietra miliare aurea, su cui era riportata la lista delle più importanti città dell’impero e la loro distanza da Roma, calcolata in miglia. Il miglio romano, milia passuum, migliaia di passi, equivaleva circa a 1.480 metri. Ogni strada romana aveva le proprie pietre miliari con il numero di miglio, la distanza da Roma, i nomi dei costruttori e le caratteristiche stradali. Erano colonne circolari in pietra su base rettangolare, conficcate nel terreno per oltre cm. 60, alte m. 1,50, di cm. 50 di diametro e del peso di due tonnellate
Lungo le strade vi erano delle stazioni di posta, statia, per il cambio e il nutrimento degli animali, per riparare i carri e per ristorarsi, e vi funzionava un sistema postale svolto a cavallo.
Per chi si metteva in viaggio esistevano gli itineraria, che davano informazioni sulle caratteristiche naturali e sui luoghi di ristoro: locande e osterie, solitamente di cattiva reputazione per la presenza di ladri e malfattori.
La mappa delle vie consolari, incisa su lastre di marmo, era esposta nel Foro Romano. Vi erano copie in pergamena che, vendute, indicavano al viaggiatore le vie da seguire per arrivare a destinazione. Risale al 250 d.C. la Tabdula Peutingeriana che rappresenta l’Impero Romano dall’India alla Britannia. È la copia, risalente all’età carolingia, di una carta stradale romana. Essa forniva ai viaggiatori le informazioni sulla reta stradale, sulle distanze in miglia, sulle città, sui luoghi di sosta, sugli itinerari da seguire.
Era molto usato l’Itinerarium Antonini che riportava le stazioni e le distanze da una località all’altra, indicando anche quali direzioni prendere.
Durante la Repubblica le strade venivano costruite per iniziativa del Senato, che ne affidava la costruzione a consoli o pretori. In età imperiale furono gli imperatori a decidere quali strade costruire e la loro gestione fu affidata ai curatores viarum per decreto di Augusto.
Le vie consolari diventarono importanti vie di scambio culturale e commerciale. I principali prodotti esportati erano l’olio d’oliva e il vino, venivano importati soprattutto beni di lusso e spezie dall’Arabia, dall’India e dalla Cina anche via mare. Non si trattò solo di romanizzare i popoli assoggettati ma anche di assorbire le loro culture: basti pensare all’influenza etrusca e a quella greca sulla società romana.
Secondo articolo – Segue