Sono più di 50 mila i licenziamenti fatti o annunciati negli ultimi mesi dalle Big tech companies, cioè le grandi società tecnologiche – come Amazon, Google, Facebook – che ormai contano più dei singoli stati in cui operano e, quindi, possono mettere il loro interesse davanti a tutto.
Naturalmente, se un’azienda è in crisi, tagliare posti di lavoro spesso è l’unica soluzione per evitare il peggio. Ma nel caso delle Big tech non è possibile parlare di crisi. Anzi. Dall’inizio del 2022 i loro fatturati risultano in forte crescita e gli utili sono più che soddisfacenti. Allora la chiave per capire la strategia delle multinazionali digitali va cercata nella relazione tra lavoro, fatturato e ricavi. Per farla breve, siamo di fronte a una logica che può essere riassunta così: se licenzio ottengo un taglio del costo del lavoro. Se poi riesco anche a far crescere il fatturato ho fatto Bingo. E gli utili…Semplice e brutale.
Il caso più eclatante è quello di Amazon, che a gennaio del 2023 ha licenziato 18 mila dipendenti e a marzo altri 9 mila. Totale: 27 mila tagli, nonostante un fatturato cresciuto del 17,3 per cento e un utile di 133 milioni di euro.
Google/Alphabet, invece, quest’anno si è “limitata” (si fa per dire) a 12 mila licenziamenti. Per far fronte alla concorrenza di Facebook/Meta, che aveva tagliato il 13 per cento della sua forza lavoro (11 mila dipendenti) e aumentato il fatturato del 18 per cento con un utile di 8 milioni di euro.
Al terzo posto ecco Microsoft, che, dopo aver fatto 10 mila licenziamenti, si avvia a chiudere il 2023 con un guadagno di 2,99 dollari per azione (contro i 2,65 dollari delle stime) e un utile netto di 22,29 miliardi (in crescita del 27%).
L’unica eccezione tra i colossi del digitale è rappresentata da Apple, che quest’anno non ha fatto licenziamenti, limitandosi – almeno per ora – a congelare le assunzioni.
Se questo è il quadro, resta da capire come hanno fatto le Big tech a spingere in questa maniera i fatturati di quest’anno nonostante la raffica di licenziamenti. La spiegazione ha un nome: AI, ossia l’intelligenza artificiale che – tanto per fare un esempio – sta entrando massicciamente nella produzione delle serie televisive, con il conseguente taglio di migliaia di figure professionali. È la ragione per cui attori e sceneggiatori di Hollywood sono rimasti in agitazione 118 giorni bloccando gli Studios. E guai a osservare che su Internet si trovano decine di puntate di serie famose tutte uguali, quindi talmente prevedibili nella struttura e nello svolgimento da poter essere scritte senza problemi con l’intelligenza artificiale.
Analogo discorso si può fare ormai per i giornali. Sempre più tristi, noiosi e zeppi di articoli fatti con il copia e incolla di comunicati stampa e “notizie” ufficiose. Alla fine, tutti uguali e confezionati in modo tale da rendere superflui i giornalisti. Nessuna meraviglia, quindi, se Bild (gruppo Springer), il quotidiano popolare più venduto in Germania ha appena annunciato pesanti tagli in tutte le sue redazioni. Dall’inizio dell’anno prossimo, l’editore tedesco licenzierà 200 tra tecnici e giornalisti, per sostituirli con il machine learning. Ossia con l’intelligenza artificiale.