La via Tiburtina è una delle più antiche delle strade consolari romane. Marina Luisa Berti racconta la storia e i misteri della via che partiva da Roma, attraversava il Lazio, valicava gli Appennini per arrivare fino all’attuale Pescara in Abruzzo. Oggi 15 novembre pubblichiamo il primo articolo.
La consolare via Tiburtina Valeria (SS n.5), che collega Roma a Pescara, inizialmente portava a Tibur, Tivoli città di antichissima origine (1215 a.C.). Era un’antica via di transumanza nel territorio degli Equi. Fu poi pavimentata dal console Marco Valerio Potito nel 286 a.C. e allungata fino a Corfinium, nel territorio dei Peligni, per cui la consolare è tuttora conosciuta come Tiburtina- Valeria.
In seguito, l’imperatore Claudio allungò il percorso, attraverso le gole di Bussi sul fiume Tirino, fino ad Ostia Aterni, che in età imperiale indicava la foce del fiume Aterno. Qui sorgeva un villaggio che i Romani, al loro arrivo, chiamarono Vicus Aterni, poi divenne Aternum, odierna Pescara. Quest’ultimo tratto della consolare prese il nome di via Claudia Valeria. Nello stesso periodo fu costruita una nuova strada che collegava Corfinium con Amiternum, vicino all’Aquila: la via Claudia Nova. Nel periodo della Repubblica e dell’Impero la Via Tiburtina era usata per il trasporto dei prodotti agricoli e del travertino ed era frequentata dai pellegrini diretti ai santuari intorno e a Tivoli.
La consolare usciva dalla Porta Esquilina, sulle Mura Serviane. In seguito, costruite le Mura Aureliane, passava dalla Porta Tiburtina, che era un arco di trionfo in travertino eretto da Augusto e che ora, all’interno della porta, è più basso rispetto al piano stradale. L’attico è attraversato da tre acquedotti: Aquae Marcia, Tepula e Iulia. In corrispondenza di quest’ultimo un’iscrizione testimonia che fu l’imperatore Augusto a far rifare le condutture di tutti gli acquedotti.
L’imperatore Onorio, agli inizi del V secolo, fece restaurare le Mura e costruire una struttura, esterna a quella augustea, con un arco su cui furono aperte cinque finestre. A partire dall’VIII secolo la porta fu chiamata Porta San Lorenzo perché si apriva verso la Chiesa di San Lorenzo fuori le mura. Fu chiamata anche Porta Taurina per i tori che ornano l’arco di Augusto.
La Tiburtina passava poi l’Aniene sul Pons Mammeus, il ponte Mammolo, che dà nome a un moderno quartiere di Roma e i cui ruderi sono visibili al IV miglio, solo nei periodi di magra del fiume. L’etimologia del ponte farebbe riferimento al restauro voluto da Giulia Mannea, madre (o moglie) dell’imperatore Settimio Severo, oppure deriverebbe da marmoreus perché la costruzione era ricoperta di travertino. Il ponte nel Medioevo era difeso da torri ma fu fatto saltare dai francesi durante l’assedio della Repubblica Romana nel 1849. Fu poi ricostruito.
La via attraversava quindi la campagna e passava di nuovo sull’Aniene al Ponte Lucano, nei pressi di Villa Adriana, che aveva 5 arcate, due delle quali ormai interrate. Poco a valle c’era il porto dove veniva imbarcato il travertino destinato a Roma e proveniente dalle cave vicine, in particolare da quella del Barco presso Tivoli. La costruzione di questo ponte è stata attribuita a Marco Plautio Lucano (duumviro con Tiberio Claudio Nerone -14-37 d.C.).
Vicino fu costruito il Mausoleo dei Plautii, in onore del console Plautus Silvanus, che divenne una torre difensiva in epoca medioevale. Al miglio VIII, a metà strada tra Roma e Tivoli si trova l’Area archeologica di Settecamini, dove è visibile un tratto della via. Lungo il lato meridionale nel 1951 sono stati scoperti ruderi di vari edifici. La costruzione meglio conservata è la Taberna, con un pavimento a mosaico di età imperiale, che fu in funzione fino al V sec. d.C. e che doveva essere una stazione di posta. Vi potevano trovare riposo i pellegrini. Al IX miglio, infatti, era meta di pellegrinaggi fino all’VIII secolo una chiesa paleocristiana, sorta su una basilichetta del II-IV secolo, con la tomba della martire Sinforosa, uccisa all’epoca di Adriano, insieme ai suoi sette figli. Vi si trovavano cortile ed orti per i i fedeli.
Al km 22,5 c’erano le terme delle Aquae Albulae, che scaturivano da due laghetti vulcanici, Regina e Colonnelle, dalla temperatura di 25 gradi. Esse erano molto apprezzate in epoca imperiale dal medico Galeno, da Strabone e da Plinio il Vecchio. Svetonio riferisce che il vecchio Augusto, sofferente di gotta, usufruiva dei suoi bagni salutari. Secondo Orazio nella zona attorno a Tivoli non esistevano più aree coltivabili a causa dei tanti parchi e delle numerose ville qui costruite.
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