Razionale e controllato come sempre, l’ormai ex primo ministro portoghese Antonio Costa, non sembra nutrire molte illusioni sul suo futuro politico dopo la caduta: «La mia carriera politica finisce qui», dice, quasi guardando oltre.
Allo scioglimento del Parlamento appena decretato dal capo dello Stato e alle prossime elezioni politiche anticipate (10 marzo 2024) dove il suo nome non ci sarà.
È solo un effetto del terremoto politico portoghese (7 novembre), seguito alle “irrevocabili” dimissioni di Costa da premier e da tutti i suoi incarichi politici. Una decisione che nessuno si aspettava ed è stata presa subito dopo l’ormai famoso comunicato della Procura della repubblica. Poche righe in cui si rendevano pubbliche le indagini giudiziarie legate ai permessi per un grande business energetico. L’estrazione del litio dalla miniera nell’area di Montalegre e per la costruzione di una serie di edifici destinati alla produzione di energia da idrogeno nel Comune di Sines.
Ora, se è vero che le indagini hanno portato all’arresto di un carissimo amico di Costa, l’avvocato Diogo Lacerda Machado, e di Vítor Escária, il suo capo di gabinetto, entrambi accusati di traffico di influenze e corruzione, è altrettanto vero che il primo ministro dimissionario non risulta indagato. Contro di lui per il momento non ci sono accuse né prove, ma solo indizi. Insomma, il suo nome è stato fatto più volte al telefono da alcuni indagati che ignoravano di essere intercettati e parlavano liberamente dei loro traffici per favorire alcune imprese private impegnate nel business delle energie verdi.
Stando così le cose, e visto che nessuno lo avrebbe costretto alle dimissioni, Antonio Costa avrebbe potuto limitarsi a cacciare Escária e a prendere le distanze da Machado. Invece è andato immediatamente dal capo dello Stato per consegnare la lettera di dimissioni. Dopo essersi dichiarato innocente, ha spiegato così la sua scelta: «Questa funzione non è compatibile con qualsiasi sospetto sull’integrità di chi la esercita».
Presi in contropiede, i suoi avversari hanno visto in questa dichiarazione da uomo di Stato un’abile mossa per tirarsi fuori dalla mischia. Poi, dopo il congresso socialista e passate le legislative di marzo e le europee di giugno, Antonio Costa avrebbe cercato di tornare sulla scena con un incarico Ue.
Obiettivo di cui si parlava da tempo e che sembrava certamente alla sua portata. Ma questo prima della caduta, quando era visto come il socialista vincente, l’abile politico che da un decennio non perdeva un’elezione e due anni fa aveva miracolosamente portato il PS alla maggioranza assoluta nel Parlamento portoghese. Ma ora è lo stesso Costa a escludere l’ipotesi di un suo sbarco a Bruxelles: «Probabilmente non eserciterò più nessun incarico pubblico, tenendo conto del tempo che ci vorrà per questo processo giudiziario…».
E il pensiero va inesorabilmente a un altro segretario socialista, Josè Socrates, primo ministro tra il 2005 e il 2011. Fu arrestato in maniera molto mediatica nel 2014 nell’aeroporto di Lisbona mentre rientrava da Parigi. Gli furono letti 31 capi d’imputazione. Ad aprile del 2021, dopo sette anni d’indagine l’ex leader socialista viene rinviato a giudizio dal giudice istruttore Ivo Rosa per frode fiscale e falsificazione di documenti. Ma non per la corruzione che gli veniva contestata dal pubblico ministero, dopo la scoperta di 34 milioni di euro depositati in vari conti esteri. Siamo arrivati quasi alla fine del 2023 e quel processo non è stato ancora fissato.