La via Tiburtina è una delle più antiche delle strade consolari romane. Tivoli è una sua perla. I viaggiatori da secoli rimangono a bocca aperta davanti alle meraviglie di Villa Adriana e di Villa d’Este. Maria Luisa Berti racconta la storia e i misteri della via che partiva da Roma, attraversava il Lazio, valicava gli Appennini per arrivare fino all’attuale Pescara in Abruzzo. Il primo articolo l’abbiamo pubblicato il 15 novembre, il secondo il 19, il terzo oggi 22.
Villa Adriana comprende le rovine e i resti archeologici di un grande complesso di ville e di edifici, fatti costruire dall’imperatore Adriano tra il 117 e il 138, a pochi chilometri da Tibur, sulla destra della via Tiburtina, dopo il ponte Lucano.
Era un territorio ricco di acque che si estendeva tra le valli dei fossi di Risicoli, o Roccabruna, e dell’Acqua Ferrata che confluivano insieme nell’Aniene. Vi passavano quattro degli acquedotti che fornivano Roma e nei pressi sorgeva la sorgente termale delle Aquae Albulae. Nella zona c’erano cave di travertino, tufo e calcare. Il primo nucleo della villa risale all’età repubblica: si trattava di una delle ville rustiche del periodo sillano, ingrandita all’epoca di Giulio Cesare, poi divenuta proprietà della moglie di Adriano, Vibia Sabina, di nobile stirpe.
Adriano aveva una visione assolutista del potere imperiale e, per essere lontano dai suoi sudditi, fece erigere un’imponente villa che divenne sua residenza personale e da cui svolgeva le funzioni legate alla sua carica. Della sua residenza restano delle colonne e dei ruderi.
L’area in cui sorge si estende per circa 300 ettari e l’imperatore voleva qui riprodurre i luoghi e i monumenti che più gli erano piaciuti durante i suoi viaggi nelle province, dalla Grecia all’Egitto.
Una delle strutture più interessanti è il Pecile, grande piazza di forma quadrangolare, innalzata su una piattaforma artificiale e circondata da un quadriportico, di cui rimane il muro settentrionale, alto 9 metri. Il nome trae origine dalla Stoà Poikile di Atene, che custodiva le opere dei maggiori pittori greci e che era molto apprezzata da Adriano. Sulla sua piazza si affacciavano gli alloggi delle guardie, del personale amministrativo e di servizio. All’interno si trova una piscina circondata da un giardino dove era d’uso passeggiare dopo pranzo.
Dal Pecile si potevano raggiungere gli impianti termali e il Canopo. Il nome fa riferimento alla città egiziana di Canopo che, attraverso un ramo del delta del Nilo, si congiungeva ad Alessandria. Adriano nel 132 d.C. era stato in Egitto dove era morto Alcinoo, il suo favorito. Da lì aveva riportato oggetti vari e statue e pare avesse voluto riprodurre quel ramo del delta nella piscina canale del Canopo. In realtà studi recenti fanno risalire la costruzione di questa struttura prima del 130 d.C. La piscina era circondata da un elegante colonnato con copie di statue greche, rivolte verso l’acqua. L’esedra alla fine della vasca era riservata ai banchetti e conteneva il triclinio imperiale.
L’uso della villa come residenza imperiale continuò fino al periodo dell’anarchia militare; la villa poi finì in stato d’abbandono fino a diventare terreno agricolo in epoca medioevale.
Dalla metà del Quattrocento l’interesse di umanisti, mecenati, papi e cardinali portò alla riscoperta dei suoi tesori. Gli scavi di quegli anni servirono soprattutto a depredare statue e marmi, come fece Ippolito d’Este che incaricò l’architetto Pirro Lagorio di prelevare materiali per le sue due ville a Tivoli e a Roma. Al Lagorio si deve la prima rilevazione storica della villa, datata intorno al 1560. Nei secoli successivi si moltiplicarono gli scavi ad opera di privati finché nel 1870 il luogo fu acquistato dallo Stato che continuò gli scavi, non ancora completati.
Villa d’Este, eccellenza del nostro Rinascimento, fu fatta costruire dal cardinale Ippolito d’Este, figlio di Alfonso I e di Lucrezia Borgia, quando nel 1550 fu nominato governatore di Tivoli da Papa Giulio II. Gli era stato assegnato come residenza il convento della Chiesa di Santa Maria Maggiore ma, abituato a ben altri fasti, trasformò il convento in una villa ed affidò i lavori al Lagorio.
La costruzione richiese tempi lunghi anche per le vicissitudini del cardinale e fu inaugurata nel settembre del 1572 alla presenza di papa Gregorio XIII, che fu accolto dalle straordinarie melodie della Fontana dell’Organo, uno dei primi organi ad acqua meccanizzato. Il papa, incredulo, volle di persona verificare che all’interno della fontana non ci fosse qualche suonatore.
La villa ha una struttura a terrazze simile alle antiche ville romane. Il giardino, ideato dal Lagorio, è all’italiana con siepi e arbusti, che formano labirinti e figure geometriche, ed è caratterizzato da numerose fontane e giochi d’acqua francesizzanti, alimentati dal Canale Estense derivato dall’Aniene. Tramite il Vialone delimitato dalla Gran Loggia e dalla Fontana d’Europa si giunge al palazzo dall’elegante facciata. Una scalinata porta poi al salone da cui si accede agli appartamenti nobili. La costruzione si articola su tre piani con ambienti di grande interesse come la sala delle Storie di Salomone e l’Appartamento inferiore con l’affresco di Ercole Sassano. Il Salone della Fontana, che accoglieva gli ospiti e serviva come triclinio estivo, era affrescato in tutto il soffitto a volta e lungo le pareti in un immaginario loggiato. Sotto si trova un ninfeo con la Fontana di Leda, conservata oggi alla Galleria Borghese di Roma.
Terzo articolo – Segue