Mentre si prepara alle elezioni politiche anticipate del 10 marzo prossimo, il Portogallo cerca di metabolizzare la crisi politica esplosa il 7 novembre con le improvvise dimissioni di Antonio Costa, incontrastato segretario del PS e capo di un governo a maggioranza assoluta socialista.
In attesa del nuovo Parlamento e del prossimo esecutivo, i vertici dello Stato stanno facendo di tutto per trasmettere all’interno e all’esterno del Paese un’idea di normalità. Insomma, per dare la sensazione che – nonostante la crisi politica in atto – le cose vanno come prima. Senza scossoni nell’economia e – soprattutto – senza brutte sorprese per i cittadini che non hanno ancora dimenticato la terribile crisi del 2011. Con le dimissioni di un altro primo ministro socialista, José Socrates, che dichiara lo stato di insolvenza e chiede l’intervento esterno di Ue, Bce e Fmi. La conseguenza sarà il commissariamento del Paese e l’arrivo della famigerata Troika con l’imposizione di tagli e sacrifici di cui il Portogallo paga ancora le conseguenze.
Visti questi precedenti, il presidente della Repubblica, Marcelo Rebelo de Sousa, messo di fronte al terremoto del 7 novembre ha subito adottato una linea soft in modo da evitare di gettare benzina sul fuoco. Prima ha scartato l’ipotesi di un altro Presidente del Consiglio e di un nuovo governo. Anche se tecnico o semplicemente elettorale. Poi ha costretto un riluttante Costa di rimanere in carica con l’attuale esecutivo per sbrigare gli affari correnti fino al voto.
Adesso resta però da capire la vera ragione dell’inattesa caduta di un leader abile ed esperto come Antonio Costa. Certo, c’è stato quel comunicato inusuale della Procura generale della Repubblica in cui si dava notizia di un’indagine per corruzione che sembrava sfiorarlo. Ma senza prove. E quindi il capo del governo non aveva alcun obbligo di dimettersi, mettendo così fine a un ciclo politico che in dieci anni lo aveva visto sempre vincente.
Il ciclo comincia a novembre del 2015, quando, vinte le elezioni politiche ma non avendo i voti per governare, Costa scommette su un governo socialista di minoranza a cui tutti danno vita breve. Come suggerisce il nomignolo “gerigonça”, cioè “accozzaglia”, dato a indicare la fragilità di un esecutivo che per andare avanti deve chiedere ogni volta l’appoggio esterno e quindi i voti del Partito comunista e del Bloco de Esquerda. Contrariamente alle previsioni il governo-accozzaglia riesce a concludere la legislatura.
Il meglio di sé Costa lo darà comunque pochi anni più tardi, alle politiche del 2022, con la conquista della maggioranza assoluta che il suo PS ottiene. Ancora una volta smentendo nelle urne le previsioni e i sondaggi della vigilia elettorale.
Paradossalmente, il leader che vince sempre e ha ormai ridotto all’irrilevanza l’opposizione, avvia la parabola discendente proprio con la maggioranza assoluta. Quando il monocolore socialista messo in campo per governare il Portogallo si rivela squadra male assortita e si distingue subito per una serie di errori. Con “casos e casinhos” d’ogni tipo frutto di incapacità, arroganza, abusi di potere, conflitti di interesse e via di questo passo. Risultato: in otto mesi di governo si contano otto dimissionari o “dimissionati” tra ministri e sottosegretari.
A questo punto è chiaro che la maggiore responsabilità di questo fallimento va attribuita soprattutto al premier-segretario. Per aver scelto e messo in campo una squadra così scadente e chiaramente non all’altezza. Stesso errore che poi emergerà in occasione dell’indagine giudiziaria che lo ha appena spinto alle dimissioni da primo ministro. Infatti basta guardare al suo braccio destro e capo di gabinetto, Vito Escaria, arrestato dopo una perquisizione nell’ufficio di palazzo São Bento che ha portato alla scoperta di 76 mila euro nascosti tra i libri e in una cassa di vino. Se poi risaliamo alla storia politica dei personaggi coinvolti nello scandalo (dal ministro delle Infrastrutture Galamba, costretto a dimettersi, all’avvocato Machado, carissimo amico del premier) scopriamo che appartenevano in genere al circolo ristretto di Josè Socrates, l’ex segretario e premier socialista arrestato nel 2014 per corruzione e ancora sotto processo.
E così arriviamo al peccato originale di Costa e cioè al 2014. Quando, dopo 7 anni da sindaco socialista di Lisbona, decide di tornare sulla scena nazionale candidandosi alla segreteria del PS. L’obiettivo dichiarato è quello di pacificare un partito ormai in frantumi. Dove il segretario in carica (Antonio Seguro) ha deciso l’epurazione dei seguaci di Socrates e la lotta interna è diventata feroce. Eletto segretario, Costa mantiene la promessa. Ma per riunificare il PS deve cooptare una parte degli ex collaboratori di Socrates. Il problema è che alcuni di questi personaggi fin troppo legati all’antico e discusso leader, Costa se li porterà dietro anche dopo, quando ormai potrebbe farne a meno. Perché? Difficile trovare una sola risposta.
Forse per pigrizia, forse perché un gruppo dirigente non si inventa dall’oggi al domani, forse…. Ma una cosa è certa: Antonio Costa è sempre stato un solista che ha giocato puntando sulle sue capacità e sul suo machiavellismo, piuttosto che su una squadra all’altezza.
Analizzando sul quotidiano Publico la caduta del 7 novembre in un commento che sembrava una lapide, l’economista Susanna Peralta ha scritto: «Se Costa è stato parco nel dotare il Paese di istituzioni serie, poteva almeno aver scelto meglio i suoi collaboratori…».