L’era d’oro del Rinascimento italiano ha una matrice anche al femminile: Isabella d’Este, marchesa di Mantova, è una delle stelle di questo straordinario periodo. Maria Luisa Berti racconta la sua storia. Il primo dicembre abbiamo pubblicato il suo primo articolo, oggi 3 segue il secondo.
Isabella d’Este era anche un’abile politica: si occupava degli affari di Stato, governava al posto del marito durante le sue assenze e sapeva procurare alleanze favorevoli. Era il periodo delle continue lotte tra gli Stati italiani e Spagna e Francia ne volevano approfittare per estendere il loro potere nella nostra penisola.
La sua abilità diplomatica venne confermata quando riuscì a convincere il re di Francia a non invadere Mantova, appetibile per la sua posizione strategica. Fu ancora Isabella, in accordo con Papa Giulio II, ad ottenere la liberazione del marito, prigioniero a Venezia, dando il figlio Federico in ostaggio al Papa. Il duca, appena tornato, accusò la moglie di aver temporeggiato troppo a lungo, prima di liberarlo, per poter avere le redini del governo, così la allontanò dalla vita politica. Morì poco dopo (1519) e Isabella tornò a governare il suo ducato: Il Principe di Machiavelli era il suo modello.
Isabella d’Este fu la prima donna ad avere un suo studio privato. Aveva solo 16 anni quando, nel 1490, arrivò a Mantova, sposa di Francesco Gonzaga, e la città le piacque subito tanto da scrivere al padre: «Io ho già preso tanto amore a questa città, che non posso fare che non piglia cura de li honori et utilitate de li citadini».
Nei suoi appartamenti, al piano nobile del Castello di San Giorgio, vicino alla Camera degli Sposi, fece subito allestire due stanze solo per lei: lo studiolo e la grotta sottostante, accessibile tramite una scala, che conteneva le sue collezioni di antichità. Nella sua grotta si ascoltava la musica in silenzio, perché solo nel silenzio la si può ascoltare, e solo dopo l’ascolto, si passava a considerazioni filosofiche e artistiche. Lo studiolo era decorato con rappresentazioni di Muse (Tela del Mantegna e rilievi del portale) perché lei stessa amava ritenersi ispiratrice di poesia, musica e arte tanto che fu soprannominata la “Decima Musa”. Vi si trovavano tele di illustri pittori dell’epoca, raffiguranti temi mitologici e allegorici oppure che celebravano lei e la sua casata.
Dopo la morte del marito, Isabella andò a vivere in un nuovo appartamento al pianterreno della “Corte Vecchia” e vi trasferì il suo studiolo, da cui si accedeva alla nuova grotta tramite un portale marmoreo, opera dello scultore Tullio Lombardo. Vi erano custodite le opere del Mantegna (Il “Parnaso” e “Minerva scaccia i Vizi”), del Perugino (“La Battaglia tra Amore e Castità”), di Lorenzo Costa il Vecchio (“Il Regno del Dio Cosmo” e “L’Allegoria della Corte di Isabella”) e del Correggio (“L’Allegoria del Vizio” e “L’Allegoria della Virtù”).
Isabella amava ritirarsi nel suo piccolo studio dove si dedicava alla lettura, allo studio, alla corrispondenza. Il suo epistolario, conservato nell’Archivio Gonzaga, risalente agli anni tra il 1490 e il 1539, contiene oltre 15.000 lettere: alcune esprimono l’affetto per la madre e la nostalgia di casa, in altre vengono raccontati episodi arguti e divertenti. Copiosa la corrispondenza col marito, spesso assente per motivi bellici (era un cavaliere di ventura), da cui si evince che tra i due esisteva stima e affetto, nonostante le discussioni per lo più legate alla politica. Isabella sapeva che il marito la tradiva e soprattutto era gelosa di Lucrezia Borgia, come si evince dalle lettere che gli inviava, dove non lesinava calunnie e commenti acidi nei confronti della cognata, che aveva conquistato con il suo fascino parenti e popolo, nonché suo marito.
Sempre attenta alle novità del suo tempo, nel 1532 ricevette a corte Antonio Pigafetta, reduce dalla circumnavigazione del globo. Era una creativa e fu l’influencer del suo tempo: a lei infatti ricorrevano le nobildonne, e anche le regine di Francia e Spagna, per avere consigli di moda e di stile. Lei creava modelli, tra cui la capigliara, sperimentava profumi, lanciava mode che si diffondevano rapidamente.
Nec spe nec metu: un invito ad accettare le avversità della vita senza paura e senza farsi false speranze. Era il motto di Isabella d’Este.
Secondo articolo – Fine