Nel 2020 è uscito il libro La battaglia della merda, della collana Fatterelli Bolognesi, edito da Minerva, scritto da Wu Ming 2 e illustrato da Giuseppe Palumbo. È rivolto soprattutto a bambini dai dieci anni e oltre. Vi si racconta di un fatterello avvenuto a Bologna tra il 1327 e il 1334,
quando la città era governata da Bertrando del Poggetto, legato del pontefice allora residente ad Avignone. Il titolo fa riferimento alla battaglia dei Bolognesi per cacciare il Poggetto, asserragliato nel suo palazzo-castello, la Rocca di Galliera, una vera e propria fortificazione, che doveva ospitare il papa prima del suo rientro a Roma: fatto che non avvenne mai.
Nel libro di Wu Ming 2, i fatti sono raccontati da un manovale edile che ha lavorato per costruire il castello di Bertrando del Poggetto. Il cardinale, però, non solo lo ha trattato male, ma lo ha costretto ad andare in guerra contro Ferrara dove lui si è salvato, mentre due suoi amici sono morti insieme a tanti altri. Quando il popolo assedia il castello, è la moglie del manovale a suggerire come stanare gli assediati.
La vicenda fa riferimento a una Cronica in volgare del 1357, che il filologo Giuseppe Billanovich ha attribuito a Bartolomeo di Iacovo da Valmontone. Vi si legge: «Ora fu puosto lo assedio allo bello e nobile castello dello legato. Lo assedio stette dìe quindici. L’acqua li fu toita, perché lo curzo li fu rotto. Dentro era fodero de pane, carne, inzalata e moite cose. Li Bolognesi traboccavano lo sterco dentro dello castello e valestravano». Furono usati in quel particolare assedio la balestra e il trabocco, o trabucco, una specie di catapulta, ma di piccole dimensioni e fissata a terra.
La cronica è ricordata da Giancarlo Benevolo nel suo Il Castello di Porta Galliera – Fonti sulla fortezza papale di Bologna (1330-1511).
Nel 1981, Dario Fo raccontò il fatto nel suo Fabulazzo Osceno, usando il suo grammelot dialettale: «Sul castèlo uno sgranghignasse che nol se pòl dire! I Provenzàli manco i se move. <Ma che rasa de guèra l’è quèsta?> e de bòta ariva tuti i compàri e i amisi che vegn de Modena, de Mantova, tuti i aleàti de i Bulugnés cu’ vegn anco de Régio, de Forlì; u ariva de partuto quèsta zénte: <Ehi, Bulugnés, gh’avit besogn de aiuto?> <Sì,merda! Tuta quèla che gh’it! Dòpo ve la darèm indrio… quando podèmo>».
Anche il cantautore bolognese Fausto Carpani ha recentemente raccontato e cantato questa vicenda nella sua La rocca Merdata.
Bologna era allora insanguinata dalle lotte tra Guelfi e Ghibellini e la venuta del cardinale legato, l’angelo della pace mandato dal papa, fu ben accolta dal popolo che sperava in un periodo di pace. Ma Bertrando del Poggetto, costruita la sua rocca fortificata, difesa dai fedeli francesi al suo seguito, cominciò a tiranneggiare. Esautorò il Consiglio degli Anziani, perseguitò e uccise chi gli era contro, impose pesanti tasse e costrinse i cittadini ad arruolarsi per far guerra a Ferrara. Qui nel 1333, gli eserciti alleati di Verona, Mantova, Milano e Firenze si scontrarono con le truppe del cardinale, formate dai Francesi e dai Bolognesi.
Fu un massacro soprattutto per quest’ultimi, costretti alla ritirata dietro ai Francesi (i primi a fuggire). Mentre attraversavano un fiume su un ponte di legno, legato da funi, questo cedette per il peso degli uomini in fuga che caddero in acqua. Per salvarsi si aggrapparono alle funi, ma i nemici le tagliarono e in tanti finirono per annegare. Tornato a Bologna il cardinale si trovò davanti allo scontento del popolo, colpito dal disastro della guerra e oberato da nuove tasse.
Nel 1334 Brandelisio Gozzadini, con la spada in pugno, dalla piazza davanti all’attuale Palazzo Comunale, incitò il popolo alla ribellione. Il marescalco del legato pontificio fu cacciato e i suoi uomini uccisi e derubati, poi l’intera città insorse e si diresse verso la rocca del cardinale, la assediò e costrinse alla resa i suoi occupanti, dopo averli privati del rifornimento idrico e dopo aver coperto la rocca con la merda sparata da balestre e catapulte. Il cardinale ottenne di andarsene incolume, scortato da soldati fiorentini, mentre i francesi al suo seguito furono derubati, imprigionati o uccisi. Il Castello di Galliera fu distrutto, come racconta la Cronica: «Puoi deruparo a terra quello nobile castiello de che ditto ene. Aitro non lassaro se non la chiesia».
Andò perduta anche la cappella con gli affreschi di Giotto.
Il castello fu poi ricostruito e distrutto più volte. L’ultima distruzione risale al 1511 e oggi restano visibili i ruderi, nei pressi di Porta Galliera, a fianco della scalinata del Parco della Montagnola che, secondo la leggenda, fu costruito sulle macerie qui accumulate per le tante demolizioni.