Le quotidiane polemiche con cui leader e leaderini di partito cercano freneticamente il loro spazio mediatico sono lì a segnalare che la campagna elettorale per il voto europeo è in corso. Naturalmente, con l’avvicinarsi del 9 giugno i toni si inaspriranno sempre di più fino a trasformare l’arena politica italiana in un ring di pugilato.
Già s’intravede una lotta senza esclusione di colpi tra competitors, anche all’interno dello stesso campo. Effetto del proporzionale fissato per le Europee, sistema elettorale che spinge ogni partito a fare da solo. Valga per tutti il caso di Lega e Fdl, alleati a Roma e divisi a Bruxelles, dove Salvini sta con i sovranisti di Id (Identità e democrazia), mentre Fratelli d’Italia aderisce all’Ecr, il partito dei Conservatori europei presieduto da Giorgia Meloni.
Intanto è facile prevedere che dopo la recente vittoria dell’estrema destra di Wilders in Olanda, Salvini farà il diavolo a quattro per recuperare il distacco dalla Meloni approfittando delle europee. Dove – tra l’altro – a maggio del 2019 da alleato con Cinquestelle nel primo governo Conte trionfò con il 34 per cento. Record assoluto e oggi lontanissimo, visto che la Lega, decimale più decimale meno, secondo i sondaggi vale il 10 per cento.
Ma l’anomalia dell’incredibile risultato salviniano in occasione dell’ultimo voto per l’Ue non rappresenta un caso isolato. Anzi. Scorrendo l’elenco delle Europee si trovano altri boom del genere. Dal 40,8 per cento conquistato nel 2014 dal Partito Democratico allora guidato dall’incontenibile Matteo Renzi, che con undici milioni di voti regalò ai dem il miglior risultato di sempre. Boom effimero anche quello, seguito da una rapida parabola discendente del protagonista che adesso, da segretario di Italia Viva, si ripresenta alle Europee rischiando di non superare nemmeno la soglia di sbarramento. Cioè il 4 per cento.
Ancora un passo indietro ed eccoci al 1999, quando la radicale Emma Bonino, dopo una campagna elettorale di stampo berlusconiano porta il suo partito a superare l’8 per cento. Altro miglior risultato di sempre. Un miracolo che spinse l’autorevole l’Economist a definire l’allora cinquantenne Bonino «l’astro nascente della politica europea».
Viste le parabole politiche di leader politici tanto diversi tra loro ma accomunati dall’identico effimero boom a un’elezione europea, c’è da chiedersi due cose. Uno, la ragione di questa anomalia. Due, il peso del voto europeo sulla politica nazionale del nostro Paese. La risposta sembra una sola: il boom di un partito alle europee nasce il più delle volte dalla momentanea popolarità conquistata dal personaggio politico del momento. Insomma, da motivazioni che hanno poco a che vedere con l’Europa, con la politica e perfino con i veri problemi del Paese.
Per farla breve, la percezione di molti elettori italiani davanti alle urne per le Europee è che hanno finalmente la possibilità di obbedire alla propria pancia, perché quello per eleggere i parlamentari dell’Ue è un voto a perdere. Un voto senza troppe conseguenze sulla politica interna.