L’Appia Antica fu tante cose diverse prima per la Repubblica e poi per l’Impero Romano. Prima di tutto era la via consolare più importante, l’autostrada che collegava Roma verso sud alla Magna Grecia, alla Grecia e all’Oriente. Era una strada ardita dal punto di vista ingegneristico che superava colline con ponti mozzafiato, tagliava promontori e asperità del terreno con grandi sbancamenti. Collegava militarmente, commercialmente e culturalmente civiltà diverse. Sul suo percorso fiorivano terme, circhi, acquedotti, ville ma anche mausolei e catacombe. Ce ne parla in dettaglio Maria Luisa Berti.
Nei pressi di Porta Capena l’imperatore Caracalla, soprannome di Marco Aurelio Severo Antonino Pio Augusto, fece costruire (212-216) le Terme di Caracalla o Antoniniane, tuttora conservate in gran parte della loro struttura.
Pare fosse stato suo padre, Settimio Severo, capostipite della dinastia, ad avviare la costruzione del complesso termale, inaugurato poi nel 216 dal figlio. Il recinto esterno fu poi eretto dai suoi successori: Eliogabalo e Alessandro Severo. Per la costruzione di questo complesso fu necessario abbattere edifici e sbancare un vasto settore della collina, colmando con la terra di risulta il lato opposto fronteggiante la via Appia.
L’approvvigionamento idrico era garantito da una diramazione dell’acquedotto Aqua Marcia. Il complesso, a pianta rettangolare, presenta un’area centrale destinata alle terme, circondata da un recinto con le cisterne, due biblioteche, due grandi esedre e le tabernae, le botteghe. Dal recinto si accedeva alle terme disposte su un unico asse dove erano collocati in sequenza il calidarium, il tepidarium il frigidarium e la natatio. Ai lati c’erano, posti in simmetria, gli spogliatoi e due palestre. Nei sotterranei, un dedalo di gallerie carrozzabili, lavoravano centinaia di schiavi e di operai specializzati. Vi si trovavano depositi di legname, forni e caldaie, un impianto idrico, un mulino e il Mitreo, destinato al culto del dio Mitra, culto di origine orientale e seguito dalla famiglia dei Severi, tra cui appunto Caracalla.
Il luogo era costituito da cinque ambienti accessibili dal piano superiore tramite una scala. La stanza principale, la più grande e a pianta rettangolare, aveva volte a crociera e un pavimento a mosaico bianco con fasce nere. Ai lati due ampi balconi dove sedevano i fedeli e al centro della stanza la fossa sanguinis, una buca in cui pare si sacrificasse il toro e che era forse utilizzata per le iniziazioni degli adepti al culto. Dentro al Mitreo furono ritrovati un altare e parte di un gruppo statuario con il dio Mitra mentre uccide il toro.
Sul viale delle Terme sorge la Chiesa dei Santi Nereo e Achilleo, ricostruita nell’814 da Papa Leone III per accogliere le reliquie dei due martiri, traslate dalle catacombe di Domitilla. La facciata fu poi restaurata per volere di Papa Sisto IV.
Sulla via che conduce a Porta San Sebastiano sorge la Chiesa di San Cesareo de Appia. Risale all’VIII secolo e fu costruita su resti romani, ora visibili nei sotterranei. Fu più volte ristrutturata e affidata a varie istituzioni. Nel XIV secolo, ad esempio, i Crociferi vi fondarono un ospedale come asilo ai pellegrini. Nella stessa via, nei pressi dell’antico bivio tra le vie Appia e Latina, si trova la Casina del Cardinal Bessarione del XV secolo, costruita su edifici medioevali inglobati su strutture d’età romana. Infatti, nel seminterrato sono stati ritrovati sepolcri del I sec. a.C. e resti di un edificio di età imperiale, più volte ricostruito, con un pavimento a mosaico di tessere bianche e nere, risalenti al II secolo d.C. In questa via c’è l’Oratorio dei Sette Dormienti, martirizzati nel III secolo ad Efeso, che furono murati vivi in una grotta. Sarebbero stati ritrovati due secoli dopo ancora vivi e dormienti. L’oratorio, dedicato all’Arcangelo Gabriele, era stato costruito su una casa romana del II secolo, di cui ci sono resti di mosaici pavimentali e di una tomba del I sec. a.C.
Il Sepolcro degli Scipioni, nei pressi di Porta San Sebastiano, fu costruito all’inizio del III secolo a.C. L’edificio, scavato nel tufo della collina, è a pianta quadrata con quattro grandi pilastri che lo dividono in sei gallerie che, nel tempo, hanno accolto 32 sarcofagi. In fondo alla galleria principale c’è una copia del sarcofago di Lucio Cornelio Scipione Barbato, console nel 298 a.C. e realizzatore del monumento funebre proprio sulla via Appia, la via verso la Grecia e verso quel processo di ellenizzazione coltivato da una fazione di nobili famiglie romane, di cui facevano parte anche gli Scipioni, e tanto osteggiato da Catone il Censore. Il sarcofago in forma d’altare, lungo 242 cm, presenta nella parte superiore un fregio dorico con triglifi e metope, decorate con rosette. Il coperchio termina con due cuscini ai lati, simili a volute ioniche, elementi stilizzanti derivati dalla Magna Grecia, e reca un’iscrizione con il nome del defunto e il suo elogio funebre.
La facciata del monumento funebre, rielaborata da Scipione l’Emiliano, ha un alto basamento che presenta tracce di affreschi e su cui si aprivano tre archi: quello centrale conduceva all’ingresso dell’ipogeo, da quello a destra si accedeva ad una nuova stanza, mentre quello a sinistra aveva solo una funzione ornamentale.
Sopra il basamento la facciata presentava sei colonne e tre nicchie con tre statue: una era del poeta Ennio, celebratore delle glorie della famiglia e qui sepolto, le altre due erano di Publio Cornelio Scipione l’Africano e di Lucio Cornelio Scipione l’Asiatico. Ma gli Scipioni più importanti, cioè l’Africano, l’Asiatico e l’Ispanico furono sepolti, secondo Livio e Seneca, nella loro villa di Liternum, in Campania, nei pressi del Lago di Patria e della foce del fiume Clanis.
Terzo articolo – Segue