L’Appia Antica fu tante cose diverse prima per la Repubblica e poi per l’Impero Romano. Prima di tutto era la via consolare più importante, l’autostrada che collegava Roma verso sud alla Magna Grecia, alla Grecia e all’Oriente. Era una strada ardita dal punto di vista ingegneristico che superava colline con ponti mozzafiato, tagliava promontori e asperità del terreno con grandi sbancamenti. Collegava militarmente, commercialmente e culturalmente civiltà diverse. Sul suo percorso fiorivano terme, circhi, acquedotti, ville ma anche mausolei e catacombe. Ce ne parla in dettaglio Maria Luisa Berti.
Tra il Parco degli Scipioni e la Porta San Sebastiano sono stati ritrovati tre Colombari di età imperiale all’interno della Vigna Codini, da cui hanno preso nome.
Era un’area di sepoltura risalente all’età augustea/giulio-claudia e utilizzata fino al II secolo d.C. Si tratta di sepolcri ipogei, formati da numerose cellette di varie dimensioni per le urne dei defunti. I primi due colombari hanno una pianta quadrangolare e furono realizzati in opera reticolata. Nel primo, più grande, alcune cellette conservano la tavola di chiusura con il nome del defunto e, alle pareti del pilastro, ci sono pitture di soggetto dionisiaco.
Nel secondo colombario le pareti recano tracce di pitture e stucchi policromi: tralci di viti, maschere e corni potori. Il terzo colombario, a pianta ad U, rivestito di marmo e decorato da pitture, aveva mensole di legno per sostenere il soppalco di legno e accedere alle cellette superiori. Le celle più ampie e a forma rettangolare potevano ospitare urne marmoree e busti. Vi si trovano edicole, arcosoli e lastre marmoree col nome del defunto. Vi era anche un ustrino per la cremazione. Un’iscrizione ammoniva di non toccare e di rispettare i Mani (Ne tangito, o mortalis, revere Mane deos).
Gli ustrini erano i luoghi, prima presso le necropoli e i colombari, poi fuori città, dove i parenti bruciavano i corpi dei loro defunti. Venivano deposti sopra una catasta lignea, ornata di fiori e corone, su cui si versavano vino e olii o profumi. Le ceneri e gli altri resti erano accuratamente asciugati e racchiusi in olle o urne, tutto sotto l’assistenza degli ustores.
Il Mausoleo di Augusto, nel campo Marzio, contiene l’ustrino in cui fu cremato il corpo dell’imperatore, un recinto di travertino, come descrive Strabone, con una griglia metallica, con pioppi neri all’interno.
L’ Arco di Druso si trova davanti alla Porta San Sebastiano. Era un arco di trionfo (falsamente dedicato a Druso Maggiore, figliastro di Augusto) ma fu poi utilizzato come fornice dell’Acquedotto Antoniniano, un ramo dell’Acquedotto Marcio, che alimentava le Terme di Caracalla. L’arco era tutto in marmo e fu restaurato da Vespasiano.
L’imperatore Onorio, a scopo difensivo, fece collegare l’arco alla porta San Sebastiano con due muraglioni poi distrutti. In origine l’arco aveva un triplice fornice, era stato costruito in travertino e rivestito di marmo sulla facciata, ai lati era decorato con colonne gialle di marmo numidio. L’arco, di cui resta solo la parte centrale, è alto m 7,21 e profondo m 5,61. Sono visibili nella facciata esterna due colonne su un alto plinto con capitelli sormontati da un architrave e da un timpano triangolare.
La Porta San Sebastiano, in origine Porta Appia, fu così chiamata a metà del XV secolo perché vicina alla Basilica e alle Catacombe di San Sebastiano. Edificata in travertino in epoca aureliana, verso il 275, la porta aveva un’apertura a due fornici tra due torri semicilindriche, che poi furono ampliate, rialzate e collegate, all’interno delle mura, all’Arco di Druso. La porta fu poi rimaneggiata nel 401/402 e dotata di una sola apertura ad arco, sormontata da due file di finestre arcuate. La base delle torri fu racchiusa da due basamenti a pianta quadrata rivestiti di marmo. Tutta la struttura venne poi rialzata di un piano.
Poiché da questa porta usciva la Via Appia, molto trafficata in età romana, all’esterno era stata realizzata un’area per il parcheggio dei mezzi di trasporto di chi entrava in città. Poco distante, un’area riservata, la mutatorium Caesaris, era destinata agli imperatori, alle loro famiglie e al loro seguito.
Sullo stipite destro della porta è scolpita l’immagine dell’Arcangelo Gabriele mentre uccide un drago. Accanto, un’iscrizione ricorda la battaglia del 29 settembre 1327 tra le milizie ghibelline dei Colonna e l’esercito guelfo di Roberto D’Angiò, re di Napoli.
Da Porta San Sebastiano si entra nel Parco Regionale Archeologico dell’Appia Antica.
Quarto articolo – Segue