L’Appia Antica fu tante cose diverse prima per la Repubblica e poi per l’Impero Romano. Prima di tutto era la via consolare più importante, l’autostrada che collegava Roma verso sud alla Magna Grecia, alla Grecia e all’Oriente. Era una strada ardita dal punto di vista ingegneristico che superava colline con ponti mozzafiato, tagliava promontori e asperità del terreno con grandi sbancamenti. Collegava militarmente, commercialmente e culturalmente civiltà diverse. Sul suo percorso fiorivano terme, circhi, acquedotti, ville ma anche mausolei e catacombe. Ce ne parla in dettaglio Maria Luisa Berti.
Da Porta San Sebastiano si entra nel Parco Regionale Archeologico dell’Appia Antica, il più grande parco urbano d’Europa con un’area protetta di circa 4.580 ettari, che si estende fino ai Colli Albani, tra la Via Appia Antica e la Via Latina. È stato istituito nel 1988 dalla Regione Lazio.
Vi si trovano moltissimi sepolcri, mausolei, catacombe.
Qui al n.41 dell’Appia Antica c’è il Sepolcro di Geta, figlio minore di Settimio Severo e di Giulia Domna, che fu fatto assassinare nel 212 dal fratello Caracalla perché, dopo la morte del padre, non voleva dividere il trono con lui. Non ancora soddisfatto per avere eliminato il fratello, Caracalla sterminò i suoi sostenitori e fece cancellare la sua immagine nel tondo della famiglia, condannandolo alla damnatio memoriae.
È un mausoleo a torre a più piani decrescenti, che era rivestito di marmo bianco. Rimane un blocco di calcestruzzo con sopra una piccola casa medioevale con tetto a spioventi che, nel XX secolo, era nota come “Osteria dei Carrettieri”. Geta non è sepolto qui perché i Severi utilizzavano come sepolcro di famiglia il Mausoleo di Adriano.
Vicino si trova il Sepolcro di Priscilla, moglie di Tito Flavio Abascanto, liberto di Domiziano, che gli aveva affidato l’incarico di segretario ab epistulis, curatore cioè della corrispondenza imperiale. Era ricco e potente: possedeva infatti terreni e anche un edificio termale nella zona del fiume Almone. Probabilmente riadattò un sepolcro già esistente per la sepoltura della moglie, morta prematura.
Si tratta di un sepolcro a tumulo su basamento quadrangolare in travertino sul quale si innalzano due tamburi cilindrici in tufo. Al centro del cilindro superiore fu costruita nel Medioevo una torre di circa sei metri, conosciuta come “Torre Petro”. Superati i sotterranei del casale che cela l’ingresso del monumento, si entra nell’antico corridoio con volta a botte e nella cella funeraria, all’origine rivestita di travertino, con il soffitto a cupola, in cui si trovano 4 nicchie per i sarcofagi. Sopra questa stanza ce n’è un’altra con 10 nicchie per le statue di Priscilla immortalata come dea ed eroina della mitologia greco-romana. Il suo corpo, come ricordato dal poeta Stazio, non fu cremato ma imbalsamato, fu poi avvolto in vesti di porpora, coperto di profumi e posto su una lettiga sopra un sarcofago di marmo. La cella, che conteneva il corpo imbalsamato di Priscilla, fu usata prima dei restauri per stagionare i formaggi.
Di fronte si trova la Chiesa del “Domine quo vadis” o Santa Maria del Palmis, che è un rifacimento seicentesco di una cappella del IX secolo. Si narra che l’apostolo Pietro, in fuga da Roma per fuggire dalle persecuzioni di Nerone, in questo luogo avrebbe visto Gesù e gli avrebbe chiesto dove andava e Gesù gli avrebbe risposto di andare a Roma per farsi di nuovo crocifiggere. Così Pietro tornò indietro verso il martirio. L’episodio è narrato negli “Atti di Pietro”.
Su una lastra di marmo si trovano due impronte di piedi, venerate come impronte di Gesù, mentre sono un ex voto pagano per il dio Redicolo, la divinità che permetteva di tornare vivi dalla guerra.
Nei pressi della chiesa, sotto un casale medioevale, c’è la Villa dei Mosaici dei Tritoni di età romana, provvista di terme e di cui restano una cisterna con mosaici di tritoni e di scene marine.
Al Bivio con via della Caffarella, il cardinale inglese Reginald Pole fece costruire una cappella di forma circolare nel luogo dove era sfuggito all’agguato dei sicari del re Enrico VIII. La costruzione ricorda i sepolcri romani a tempietto: lungo le pareti otto pilastri in mattoni sorreggono un architrave su cui poggia un tetto a cupola.
Vicino sorge il Colombario dei Liberti di Augusto di cui rimangono pochi resti, e che è una tipica sepoltura imperiale, destinata ai servi o ai liberti affrancati per i loro meriti. È un raro esempio di colombario sviluppato in superficie. Il sepolcro fu poi utilizzato come cantina e in seguito fece parte di un’osteria.
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