L’Appia Antica fu tante cose diverse prima per la Repubblica e poi per l’Impero Romano. Prima di tutto era la via consolare più importante, l’autostrada che collegava Roma verso sud alla Magna Grecia, alla Grecia e all’Oriente. Era una strada ardita dal punto di vista ingegneristico che superava colline con ponti mozzafiato, tagliava promontori e asperità del terreno con grandi sbancamenti. Collegava militarmente, commercialmente e culturalmente civiltà diverse. Sul suo percorso fiorivano terme, circhi, acquedotti, ville ma anche mausolei e catacombe. Ce ne parla in dettaglio Maria Luisa Berti.
L’Ipogeo di Vibia, in Via Appia al civico 101, si trova dove nel Medioevo fu costruito il “Casale della Torretta”. Il monumento, di diritto privato, è databile al IV secolo e fu usato per un cinquantennio. Contiene 8 catacombe, disposte su tre livelli dove nel più antico, a 9 m di profondità, si trova l’ipogeo di Vibia, ivi sepolta insieme al marito Vincentius. Qui è stato ritrovato un arcosolio ricco di pitture.
L’arcosolio, dal latino arcus (arco) e solium (arca sepolcrale) era un tipo di sepoltura diffuso nelle catacombe, dove il sarcofago (o la tomba) veniva inserito in una nicchia scavata nella parete di tufo; chiusa da lastre di marmo o in muratura, su cui poggiava un arco a tutto sesto dove la lunetta veniva dipinta.
Nella lunetta dell’arco del sepolcro di Vibia è dipinta la defunta accompagnata da un angelo nei Campi Elisi, e nel centro la si vede seduta al banchetto dei beati in un campo di fiori. In un’iscrizione a lettere rosse il marito Vincenzo, sacerdote di Sabazio (culto affine ai Misteri Dionisiaci) invita a vivere con gioia.
Nel sottarco a destra Mercurio accompagna al giudizio Vibia, tenuta per mano da Alcesti, mentre al centro su un alto podio Plutone e Proserpina li attendono; infine, nell’angolo sinistro sono raffigurate le tre Parche.
In un arcosolio di un sepolcro vicino il defunto è dipinto vestito da miles, che nel culto di mitra simboleggia il terzo grado di iniziazione. Il monumento era conosciuto come ipogeo delle monachelle per la presenza di una pittura con personaggi velati. Le gallerie di questo ipogeo, in gran parte crollate, continuano in varie direzioni verso altre piccole necropoli sotterranee e cave di tufo.
Le catacombe ebraiche di Vigna Randanini furono scavate sul fianco di una collina fra la Via Appia Antica e la Via Appia Pignatelli, in un’area di proprietà della comunità giudaica presente a Roma tra il III e il IV secolo d.C. Fu qui riutilizzato un edificio pagano, a cui fu aggiunta una copertura a volta ed una pavimentazione a tessere bianche e nere.
Si estendono per una lunghezza di circa 720 metri, di cui solo 450 ora percorribili, e si sviluppano su due gallerie principali, da cui si diramano quelle inferiori. Vi si trovano loculi scavati nelle pareti, arcosoli e kokhim, tipici della Palestina e di Israele. Nel kokhim il corpo del defunto veniva custodito fino alla decomposizione e le sue ossa venivano racchiuse in un ossuario.
In origine (II secolo d.C.) esisteva un unico ambiente quadrato con due esedre poi, nel III e IV secolo, l’area fu modificata, pur conservando le due esedre. Si prolungarono i muri longitudinali che furono rivestiti in opus listatum (filari di laterizi alternati a filari di altri materiali) e vi furono scavati degli arcosoli. Al centro fu costruita una spina, una parete con arcosoli, unita alle pareti laterali con una muratura su cui si aprono archi a sesto ribassato. Risale a quel periodo la decorazione a bianco nero del pavimento.
Oggi si entra in un’anticamera da cui si accede ad un vestibolo con volta a botte e al centro un pozzo, dove arriva l’acqua di scarico da un ambiente esterno mosaicato. Solo tre dei cubicoli sono affrescati. Nel primo sulle pareti e sul soffitto ci sono dipinti con motivi geometrici rossi su fondo bianco. Nel secondo ambiente, preceduto da un vestibolo intonacato di bianco, l’apertura dei loculi è caratterizzata da incrostazioni di marmo e fasce a colorate di rosso e verde.
Tra i locali sono dipinte ghirlande di fiori e, ai quattro angoli del cubicolo, si trovano affreschi di palme da datteri. Le decorazioni sono in gran parte danneggiate.
Tramite una scala si accede al piano inferiore dove si aprono due cubiculi, decorati geometricamente per evidenziare gli arcosoli e i riquadri delle immagini.
Nella prima stanza al centro del soffitto, dentro ad anelli concentrici, una Vittoria alata sta incoronando un giovane nudo. Nel cerchio esterno sono raffigurati pavoni, uccelli e ceste di fiori, mentre i muri sono ornati di vari tipi di uccelli e di un montone.
Nella volta del secondo ambiente c’è al centro la Fortuna con in mano la cornucopia, sotto sono dipinti un ippocampo, due delfini e pesci, mentre nell’anello esterno ci sono decorazioni di pesci anatre e ceste di fiori. Le pareti erano ornate di ghirlande di fiori e uccelli e, nel muro di fondo c’era un uomo tra due cavalli in gran parte danneggiato. Sono rimaste di questo cimitero molte epigrafi che in gran parte esprimono un augurio di pace per il defunto.
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