Mirafiori dice basta. O meglio. I metalmeccanici Cgil, Cisl, Uil dopo 13 anni di divisioni tornano uniti per impedire la morte per eutanasia di Mirafiori. Lo storico stabilimento Fiat di Torino, un tempo la più grande fabbrica di automobili d’Europa, annaspa.
Nel mirino c’è Stellantis proprietaria dell’impianto, la società nata nel 2021 dalla “fusione paritaria” tra Fiat Chrysler Automobiles e il gruppo francese Psa. Rocco Cutrì (Fim-Cisl), Edi Lazzi (Fiom-Cgil), Luigi Paone (Uilm-Uil) da Torino all’unisono dicono basta alla cancellazione lenta di Mirafiori. I segretari torinesi dei tre sindacati dei metalmeccanici snocciolano delle cifre drammatiche: ancora nel 2006 l’impianto produceva 218.000 auto, allestiva sei modelli e occupava 21.000 lavoratori mentre nel 2023 impiega 6 mila persone in meno e, se andrà bene, costruirà 100.000 vetture (circa 80.000 Fiat 500 elettriche e 8.000 Maserati). Già perché Mirafiori ha assorbito anche il personale di Grugliasco che produceva 55.000 vetture di lusso nel 2017, quasi tutte esportate all’estero. La mancanza di investimenti e di nuovi modelli ha messo a tappeto Mirafiori e nel 2023 ha portato addirittura alla chiusura di Grugliasco, l’impianto intitolato a Gianni Agnelli.
I tre sindacati presentano un documento di rilancio di Mirafiori e della struttura industriale di Torino basato su quattro punti: 1) fabbricare subito nuovi modelli, 2) rinnovare la forza lavoro assumendo giovani (ora l’età media è di 56 anni), 3) “implementare la produzione di componentistica” legata alla costruzione di vetture elettriche e a idrogeno, 4) potenziare il ruolo strategico del capoluogo piemontese come polo di ricerca e di progettazione. Sono pronti a rompere il tabù di avere un solo costruttore di auto in Italia e lasciano aperta la porta all’arrivo di un eventuale produttore cinese «purché rispetti le regole europee e italiane».
Il documento dei sindacati chiede fatti: «Per garantire una solida crescita dell’economia torinese serve innanzitutto preservare e rilanciare Mirafiori, lo stabilimento che più di tutti in questi anni ha pagato il prezzo della crisi e dei mancati investimenti». Fiom, Fim e Uilm indicano una strada quasi opposta di quella percorsa finora: la multinazionale italo-franco-americana ha fatto scarsi investimenti, ha tagliato l’occupazione con la cassa integrazione, i prepensionamenti e gli esodi volontari basati su incentivi economici anche di 100.000 euro. Nello stesso tempo ha incassato l’aiuto del governo Meloni centrato soprattutto sugli incentivi all’acquisto di auto elettriche, ibride e termiche con bassi tassi d’inquinamento.
Il “polo del lusso” immaginato da Sergio Marchionne per garantire la piena occupazione nelle fabbriche italiane non è decollato. Mirafiori ha enormi spazi vuoti e Grugliasco è stata chiusa. Le Maserati Quattroporte e Ghibli sono due modelli a fine corsa e non si vedono all’orizzonte i successori. Non solo. I nuovi modelli Fiat previsti in uscita non verranno prodotti a Mirafiori ma, nella maggior parte dei casi, all’estero: in Polonia, Spagna, Serbia, Brasile, Algeria, Marocco.
I sindacati chiamano al confronto l’azienda, il comune di Torino e la regione Piemonte. Il primo interlocutore in realtà è Carlos Tavares, l’amministratore delegato di Stellantis che pensa soprattutto alla Francia. Non a caso Stellantis in Francia costruisce un milione di auto mentre in Italia la produzione si ferma a circa la metà.
Il governo Meloni ha posto il problema. Il ministro Urso da mesi ha avviato una discussione con il gruppo automobilistico chiedendo di produrre almeno un milione di auto in Italia, ma finora i risultati sono stati scarsi. John Elkann, presidente di Stellantis, parla poco di nuovi investimenti nell’auto a Torino e in Italia. Ma ha annunciato che investirà i capitali della famiglia Agnelli-Elkann in aziende del lusso, sanitarie e di alta tecnologia. Lì si realizzano grandi profitti.