A fine anno i missili russi sono tornati a colpire obiettivi civili in tutta l’Ucraina, provocando 39 morti e 160 feriti. È stato il peggiore attacco aereo dall’inizio dell’invasione e ha colto di sorpresa il grosso dell’opinione pubblica occidentale.
Si è trattato, infatti, di una prova di forza in contrasto con quello che in quasi due anni i leader politici del fronte anti-Putin e i media dei “grandi paesi democratici” aderenti alla Nato hanno raccontato sulla guerra in Ucraina e sui suoi protagonisti.
Dall’isolamento dello zar di Mosca, indebolito dall’attacco fratricida lanciato contro Kiev, all’effetto delle sanzioni occidentali che avrebbero portato al collasso l’economia russa. Dalla necessità di sostenere con tutte le armi e i finanziamenti possibili l’Ucraina per “salvare la democrazia”, alla capacità del presidente Zelensky di respingere l’invasore e vincere la guerra mandando in pensione l’autocrate post-sovietico.
Ma adesso, con l’arrivo del nuovo anno, la realtà è sotto gli occhi di tutti. E la scena geopolitica appare (purtroppo) diversa da quella annunciata subito dopo l’invasione russa e l’appoggio (allora compatto) assicurato a Zelensky dai paesi Nato guidati dagli Usa.
La realtà odierna è che mentre le difficoltà del presidente ucraino aumentano di giorno in giorno, Putin è in evidente ripresa e si prepara a vincere le elezioni presidenziali di marzo 2024.
L’ultima riforma costituzionale, costruita ad hoc per garantirgli di restare al potere, gli consente – tra l’altro – ancora due mandati di 6 anni ciascuno. Obiettivo considerato alla sua portata, quando appena pochi mesi fa molti osservatori davano per probabile un suo passo indietro determinato dal fallimento della “operazione speciale” contro l’Ucraina.
Così non è stato. Anzi. Oggi la maggioranza dei russi nelle grandi città è dalla parte del Presidente, e quindi nessuno si aspetta sorprese dalle urne. Per farla breve, in un contesto politico di controllo dei mezzi di comunicazione da parte del Cremlino, con le opposizioni messe a tacere e l’assenza di leader antagonisti, secondo tutti i sondaggi, Putin verrà confermato a grande maggioranza.
Anche perché nel frattempo è riuscito a risalire la china. La prima linea dell’esercito di Mosca ha in gran parte respinto la controffensiva di Kiev. Poi il Paese, alleato con la Cina e con un vasto fronte internazionale di Paesi anti Usa, sta reindirizzando la propria economia per affrontare una lunga guerra. Cosa possibile, anche considerato che le sanzioni occidentali, a conti fatti, hanno inciso molto meno di quanto all’inizio prevedevano a Washington e a Bruxelles.
Riassumendo: a meno di tre mesi dalle presidenziali, Putin può vantare un indice di gradimento attorno all’80 per cento. La sua rielezione è quindi scontata. Salvo imprevisti resterà al potere almeno fino al 2030 con la possibilità di ricandidarsi fino al 2036.
E veniamo al fronte opposto. Qui c’è da registrare la crisi dell’Ucraina: con gli scarsi risultati della controffensiva dell’esercito di Kiev, la mancanza di munizioni, gli aiuti degli Stati Uniti e dell’Unione Europea sempre più difficili perché bloccati negli Usa dai repubblicani e nell’UE dall’Ungheria di Orbán.
Va poi registrata una crescente stanchezza nei confronti di Zelensky, che dopo aver occupato come indiscussa star planetaria la scena mediatica per più di un anno e mezzo, è stato oscurato dall’attacco di Hamas a Israele. Adesso il presidente dell’Ucraina registra la copertura mediatica più bassa di sempre. Ma anche se la stanchezza nei suoi confronti è evidente perfino all’interno del suo martoriato Paese, lui continua a chiedere soldi e armi all’Occidente fino alla «cacciata dell’invasore russo da tutti territori occupati».