All’inizio Carlos Tavares, esperto pilota e appassionato di auto, usa toni trionfali. Assicura: Stellantis sarà «una famiglia fantastica». Nel gennaio 2021 s’impegna «a non chiudere stabilimenti» in seguito alla “fusione paritaria” tra Fiat Chrysler Automobiles e il gruppo francese Peugeot-Citroen. Tranquillizza in particolare i sindacati italiani: «Per l’Italia la buona notizia è che Stellantis farà da scudo, da protezione per alcuni stabilimenti, non rappresenta un rischio».
John Elkann agisce in grande sintonia con Tavares, prima amministratore delegato di Peugeot-Citroen e poi di Stellantis. Il nipote di Gianni Agnelli da presidente di Fca acquisisce una pari carica in Stellantis. Come capo della famiglia Agnelli-Elkann resta il maggiore azionista del nuovo gruppo automobilistico italo-franco-americano, tuttavia la famiglia Peugeot e il governo francese detengono due quote quasi equivalenti.
Le cose si mettono subito male per le fabbriche italiane di Stellantis. Lo “scudo” per l’occupazione non si vede. I nuovi investimenti e modelli di auto giungono con il contagocce.
Molti dei nuovi modelli Fiat sono prodotti all’estero: la Topolino e la Multipla in Marocco, la 600 in Polonia, la nuova Panda in Serbia. Uguale sorte hanno gli altri marchi un tempo della Fiat. L’Alfa Romeo Milano nonostante il nome sarà allestita in Polonia, la nuova Lancia Ypsilon in Spagna. Tavares chiude lo stabilimento di Grugliasco in Piemonte e trasferisce la produzione dei modelli Maserati a Mirafiori, un tempo la più grande fabbrica d’auto in Europa mentre ora annaspa in uno stato comatoso. La cassa integrazione, i pre pensionamenti e gli esodi incentivati decimano l’occupazione in tutti gli impianti italiani mentre investimenti in nuovi modelli arrivano nelle fabbriche francesi. I cugini d’Oltralpe producono un milione di autovetture l’anno mentre l’Italia ne fabbrica circa la metà. Luca di Montezemolo, ex presidente della Fiat e della Ferrari, accusa gli Agnelli-Elkann di aver venduto di fatto il gruppo automobilistico ai francesi.
Stellantis fa miliardi di euro di profitti ma dilaga la paura della disoccupazione tra i metalmeccanici, i tecnici, i dirigenti di Mirafiori, Cassino, Pomigliano D’Arco, Melfi. I sindacati chiedono garanzie all’azienda, al governo Meloni, agli enti locali.
Il ministro delle Imprese e del Made in Italy Urso preme sulla multinazionale con sede legale ad Amsterdam e operativa a Parigi di aumentare la produzione nella Penisola a un milione di autovetture. Giorgia Meloni rilancia la richiesta del ministro di elevare la produzione in Italia e attacca: in realtà la fusione «celava un’acquisizione francese». Non a caso nel consiglio di amministrazione di Stellantis «siede un membro del governo francese», osserva la presidente del Consiglio. L’esecutivo italiano rilancia l’idea di acquistare una quota azionaria come quella detenuta da Parigi.
La polemica diventa scontro. Tavares nega di penalizzare l’Italia in favore della Francia, anzi ricorda di aver respinto in passato delle richieste di Parigi. Accusa il governo Meloni di essere responsabile delle difficoltà. Batte a cassa: perché «se non si danno sussidi per l’acquisto di veicoli elettrici» allora «però si mette a rischio il mercato italiano e gli impianti». In sintesi: Mirafiori e Pomigliano rischierebbero pericolosi tagli.
La “doccia gelata” è da brividi. Mirafiori si ferma dal 12 febbraio al 30 marzo. L’azienda ricorre alla cassa integrazione per quasi due mesi. La Fiat 500 elettrica tira poco, l’obiettivo di 100.000 macchine l’anno resta un miraggio, si viaggia intorno a 50.000 unità. Male anche le Maserati con modelli a fine corsa. I sindacati reclamano con urgenza una nuova vettura da costruire nella fabbrica torinese.
Il governo Meloni, come gli altri esecutivi italiani precedenti, non ha lesinato e non lesina aiuti e sussidi al gruppo un tempo Fiat, poi Fca e ora Stellantis. Si gioca una importante partita politica, industriale, sociale sulla vicenda. Tavares sarebbe preoccupato di non riuscire a fronteggiare l’agguerrita concorrenza delle auto cinesi e tedesche e penserebbe a una ulteriore fusione con Renault. L’ipotesi, subito smentita da Elkann, sarebbe sostenuta anche dal governo francese in nome dell’interesse nazionale. Così la proposta italiana di entrare in Stellantis non sarebbe gradita, del resto è stata già respinta nel recente passato. Sale ancora la tensione tra Meloni e Emmanuel Macron. Chissà se Tavares ricorda la sua risposta ai dubbi di far convivere nella fusione ben 14 prestigiosi marchi di auto: «Li amiamo tutti e non uccidi ciò che ami».