«La mia memoria è in pessimo stato e l’ho lasciata parlare». Questa la risposta sarcastica di Joe Biden a Peter Doocy che gli aveva chiesto se la sua cattiva memoria gli impedirà di continuare a svolgere i suoi compiti di presidente.
Doocy, il cui padre Steve conduce il noto programma Fox and Friends, lavora anche lui per la rete di Rupert Murdoch. Negli ultimi tempi è impiegato come corrispondente della Fox News alla Casa Bianca dove si è creato una reputazione per fare domande scomodissime e spesso provocanti. Fa il suo compito di creare momenti che vengono spesso usati dalla Fox News per imbarazzare l’amministrazione Biden.
L’ultimo scontro è avvenuto recentemente subito dopo il rilascio del rapporto di Robert Hur sulle indagini dei documenti riservati in possesso di Biden. Merrick Garland, il procuratore generale, lo aveva nominato a indagare possibili illegalità di Biden in una specie di par condicio, considerando le indagini sui documenti top secret posseduti illegalmente da Donald Trump. Come si ricorda, Garland aveva nominato Jack Smith a procuratore speciale nel caso di Trump il quale ha eventualmente incriminato l’ex presidente di 37 capi di accusa. Il processo è in fase di preparazione e dovrebbe incominciare fra qualche mese in Florida.
Biden non sarà processato perché Hur non ha riportato questa necessità nel suo rapporto di 345 pagine. Vi si legge che l’attuale presidente ha tenuto documenti in suo possesso che non gli appartenevano ma non ha usato condotta ingannevole né ha ostruito le indagini come invece ha fatto Trump. Fin qui tutto bene. Hur però non si limita ai fatti e continua a spiegare la ragione per cui non ci sarà incriminazione asserendo che Biden non sarebbe condannato da una giuria. La ragione? Biden, secondo Hur, dà l’impressione di essere «un vecchietto ben intenzionato con cattiva memoria». Hur continua asserendo che l’attuale presidente non ricordava con precisione nemmeno la data della morte del figlio Beau.
Gli analisti hanno giustamente condannato questi commenti superflui sulla memoria che nulla o quasi nulla hanno a che fare con il caso legale. Si tratta infatti di commenti ingiustificati che puzzano di politica.
Il rilascio del rapporto è stato deciso da Garland che si è comportato in maniera molto diversa da Bill Barr quando ricevette il rapporto da Robert Mueller sulle indagini del caso di Russiagate. A conclusione delle indagini Mueller nel 2019 consegnò il suo rapporto a Barr, l’allora ministro di Giustizia. Questi rilasciò una versione con parti oscurate includendo una sua analisi che scagionava Trump completamente che non rifletteva quanto scritto da Mueller. Il procuratore speciale fu talmente arrabbiato che scrisse una lettera di dissenso a Barr con cui in passato era stato legato da rapporti professionali e di amicizia.
Garland invece ha rilasciato il rapporto di Hur senza commenti, tentando di essere completamente obiettivo. In realtà non ha fatto il suo dovere poiché considerando la mancanza di incriminazione non era obbligato a renderlo pubblico come avviene in tutte le indagini che non sfociano in incriminazioni. I procuratori speciali vengono nominati nei casi in cui si crede che una completa obiettività sia necessaria. Garland aveva infatti nominato Hur, un repubblicano che aveva lavorato al Dipartimento di Giustizia durante l’amministrazione Trump, per le indagini su Biden. Un repubblicano dunque che svolgeva indagini su un presidente democratico dovrebbe offrire obiettività. In realtà il lavoro di Hur rivela un forte pregiudizio contro Biden e una forte insensibilità a livello personale. La sua stoccata che Biden non ricorda nemmeno la data della morte del figlio Beau ha aperto una grossa ferita per l’attuale inquilino della Casa Bianca. Va ricordato che Beau morì di cancro al cervello, una grossa tragedia per Biden. Alla morte di Beau bisogna aggiungere anche il decesso della prima moglie Neilia e la figlia Naomi in un incidente stradale del 1972. E poi, com’è noto, l’unico figlio ancora vivo, Hunter, con tutti i suoi problemi e i grossi grattacapi che ha creato al padre per i suoi affari poco puliti. «Come diavolo ha osato includere» questo dettaglio, ha gridato Biden nella conferenza stampa, riferendosi al fatto che non ricorderebbe la data della morte di Beau. Difficile capire l’insensibilità di Hur ma anche il fatto che Garland non abbia fatto nulla per eliminare quel dettaglio doloroso per Biden che in realtà non aggiunge nulla alla questione della debole memoria di Biden presentata in parecchi altri esempi.
Si tratta dunque di un attacco politico che rafforza quelli di Donald Trump alla vecchiaia del suo probabile rivale alle presidenziali di novembre. Reitera le gaffes verbali di Biden che a volte confonde il nome di un individuo con un altro. Trump, ovviamente fa la stessa cosa, ma la differenza fra i due è che Biden riesce ad analizzare le situazioni politiche mentre Trump continua a dire baggianate senza capire le conseguenze. In una delle sue ultimissime asserzioni ha dichiarato che non difenderebbe gli alleati della Nato e che infatti darebbe carta bianca a Putin di fare tutto quello che vuole. Trump non capisce che i trattati firmati dagli Stati Uniti sono legati alla costituzione americana e vanno rispettati.
Difendendosi nell’accesa conferenza stampa, Biden ha giustamente dichiarato che ha rimesso l’America a posto dopo i disastri di Trump e della pandemia. Non ha fatto tutto bene ma nel caso dell’attacco all’Ucraina è riuscito a unificare gli alleati evitando la rapida conquista dei russi. Molto meno bene nel caso del conflitto nel Medio Oriente considerando i 27 mila morti palestinesi. Nei giorni scorsi però ha dichiarato che nonostante l’America consideri l’Israele un alleato e lo sostiene, Benjamin Netanyahu ha “esagerato” nei suoi attacchi a Gaza. In effetti, Biden ha fatto intendere che prende delle distanze dall’estremismo di Netanyahu. Ciononostante non è riuscito a controllare gli estremismi del governo israeliano. Esistono limiti agli ingenti poteri di un presidente americano.
Secondo alcuni analisti i democratici sarebbero preoccupati dalla candidatura di Biden al secondo mandato ma nessun membro dell’establishment lo ha sfidato per la nomination. Ciò si deve principalmente al riconoscimento che tutto sommato l’attuale inquilino alla Casa Bianca ha fatto un buon lavoro e merita altri quattro anni alla presidenza. Ci si sta avviando dunque a un rematch fra Biden, un candidato non eccellente ma responsabile e decente, contrastato da Trump, un individuo completamente inadatto al ruolo di leader degli Stati Uniti.
=============
Domenico Maceri, PhD, è professore emerito all’Allan Hancock College, Santa Maria, California. Alcuni dei suoi articoli hanno vinto premi della National Association of Hispanic Publications.