Il mattone non tira più. La discesa del mercato immobiliare è lenta e costante in tutte le grandi città italiane. Con prezzi delle abitazioni nominalmente fermi o in calo. Valori che poi vanno ricalcolati al rialzo, perché bisogna aggiungere l’inflazione e quindi una percentuale media del 6-7 per cento.
Gli atti notarili stipulati nel 2023 fanno stimare un calo delle compravendite di case prossimo all’11 per cento rispetto al 2022 e un vero e proprio crollo dei contratti di mutuo, che sono diminuiti del 31 per cento.
Per avere un’idea più chiara del fenomeno, basta dare un’occhiata a un solo dato, quello ormai definitivo relativo alle transazioni concluse nel secondo trimestre 2023: 185 mila case vendute. Cioè 35 mila in meno dello stesso periodo dell’anno precedente.
Il problema è che la caduta del settore immobiliare si riflette sulla ricchezza degli italiani, i cui risparmi sono da sempre fondati per una buona metà sul mattone. E così, se nel 2009 il nostro Paese primeggiava nella classifica mondiale del risparmio delle famiglie, oggi siamo precipitati sotto Stati Uniti, Francia, Germania e Gran Bretagna. Insomma lontani dai grandi dell’Occidente che ormai ci distanziano in una misura che varia dal 35 al 50 per cento.
Secondo i dati dell’Istat e i calcoli di Bankitalia, negli ultimi due anni il patrimonio degli italiani è diminuito del 7,7 per cento. Un calo ancora più preoccupante se si considera che stipendi e salari sono in contrazione da 30 anni e il Paese non cresce da quasi 25 anni. E così aver investito per tanti anni soprattutto sul mattone, invece che sulle attività produttive, alla fine si sta rivelando un grande errore. Come adesso risulta evidente di fronte alla crisi del settore immobiliare.
Crisi, tra l’altro accentuata, prima ancora dell’arrivo dell’inflazione e del balzo dei tassi d’interesse sui mutui, da una serie di scelte politiche non proprio lungimiranti. Scelte apparentemente diverse tra loro ma accomunate dall’aver trasformato la percezione della casa. Ormai vissuta da molti italiani principalmente come un costo. Per l’abnorme crescita di materiali e manodopera seguita al Superbonus che ha fatto esplodere i prezzi di manutenzioni e ristrutturazioni. Per le mille pratiche legate a certificazioni di ogni tipo e gli onorari sempre più alti di tecnici, consulenti e “semplificatori” di vario tipo. Alla fine il settore immobiliare arriva a pagare tra imposte e oneri vari circa 20 miliardi di euro l’anno. Troppo anche per un Paese fondato sul mattone.