Archiviati il «cambio di vento» e la «svolta storica», con cui gran parte dei vertici Pd hanno enfaticamente commentato la vittoria della pentastellata Alessandra Todde, le elezioni regionali di domenica 25 febbraio in Sardegna meriteranno una lettura aderente alla realtà dei fatti.
Comunque, qualcosa di più della retorica sulla “nuova era” iniziata con la vittoria isolana del “campo largo”, ossia di quell’alleanza con il M5S a cui la segretaria Pd Elly Schlein ha legato il proprio futuro politico.
Ovviamente le elezioni sarde meriteranno anche un vero mea culpa da parte della coalizione di governo. Comunque, anche su questo versante, qualcosa di più della sbrigativa nota congiunta a firma Meloni, Salvini, Tajani. Nota in cui i tre leader del centrodestra, dopo aver riconosciuto di malavoglia una «sconfitta per meno di tremila voti», si dicono «pronti a riflettere sui possibili errori commessi». Dove quel «possibili», la dice però lunga sull’imbarazzo del centrodestra alla sua prima sconfitta elettorale dopo 17 mesi di governo.
Detto questo, se proprio vogliamo iniziare una lettura politica del voto espresso domenica scorsa da 758 mila sardi, cioè dalla metà degli aventi diritto, dobbiamo dire che hanno perduto tutti.
A destra ma anche a sinistra. In testa Giorgia Meloni che, smessi i panni della premier invincibile, adesso sarà costretta a un bagno d’umiltà. Dopo aver incarnato per un anno e mezzo il ruolo di “donna sola al comando” dentro e fuori la coalizione di governo a cui ha imposto la candidatura del fedelissimo sindaco di Cagliari alla presidenza della Regione.
Scelta calata dall’alto con un’arroganza che gli elettori locali non hanno digerito. Da qui la bocciatura nelle urne dell’impopolare Truzzu, che alla fine ha preso meno voti delle liste di centrodestra. Liste dove poi andrebbe analizzato in maniera approfondita il crollo della Lega che Matteo Salvini ha spostato all’estrema destra ed è precipitata al 3,7 per cento. Finendo quasi doppiata da una Forza Italia che, orfana del suo padre-padrone Silvio Berlusconi, adesso è nelle mani di un moderato amante del basso profilo come Antonio Tajani.
E veniamo all’alleanza progressista. Qui la vittoria della segretaria Pd Elly Schlein è tutta da decifrare. La sua scelta del cosiddetto “campo largo” con Cinquestelle ha provocato la spaccatura con l’ex governatore dem Renato Soru che reclamava le primarie. Alla fine il Pd non ha indetto le primarie e la scelta della segretaria è stata fatta a tavolino con 5 Stelle. Un regalo a Conte, come accusano gli avversari interni della Schlein specialmente adesso che Alessandra Todde è diventata la prima presidente di Regione targata Cinquestelle.
Comunque sia, nemmeno l’attuale numero uno del movimento fondato da Grillo può festeggiare più di tanto. La sua lista è finita sotto l’otto per cento. Più o meno la metà dei voti riconducibili all’area dem, che a sua volta ha dovuto fare a meno dell’8,3 per cento raccolto dalle liste che hanno sostenuto Renato Soru….
Insomma, quello del centrosinistra è un puzzle tutto da riordinare, mentre il tempo stringe e il prossimo test elettorale è già alle porte, con le elezioni regionali del prossimo 10 marzo in Abruzzo.