La via Nomentana è una delle più antiche consolari della Roma della Repubblica e dell’impero dei Cesari. Andava in Sabina e incrociava la Salaria. Arrivava fino a Mentana e a Monterotondo, città caposaldo per la difesa dell’Urbe. Grandiose ville, piacevoli terme, grandi chiese e fortificazioni medioevali costellavano il percorso. Maria Luisa Berti indica passaggi fondamentali e segreti.
Al II miglio della via Nomentana sorge il complesso di Santa Agnese che comprende le catacombe, la basilica costantiniana (IV sec.), il Mausoleo di Santa Costanza e la basilica onoriana del VII secolo, cioè l’attuale basilica con il suo monastero. Il muro perimetrale della basilica presenta alti contrafforti a gradoni.
Le Catacombe di Santa Agnese si trovano sopra un’antica necropoli romana con mausolei e colombari. In un settore di tombe ipogee furono poi sepolti i primi cristiani e la martire Agnese in prediolo suo, cioè in un terreno di proprietà della sua famiglia.
Le catacombe cristiane vennero conservate e divennero luoghi di culto, mentre la necropoli pagana venne distrutta per far posto alla basilica costantiniana. Agnese aveva 12 anni quando fu martirizzata, secondo Papa Damaso con il fuoco, secondo Sant’Ambrogio con la decapitazione. Questa santa era molto venerata anche dalla famiglia dell’imperatore Costantino; infatti, sua figlia Costantina fece costruire in questo luogo una grandiosa basilica, di cui oggi restano solo alcune murature, e volle essere sepolta vicino alla santa. Il mausoleo, collegato alla navata sinistra della basilica, ha pianta circolare, come nei battisteri paleocristiani, è coperto da una cupola e circondato da un ambulacro a portico con volta a botte. Pare vi fosse sepolta Elena, l’altra figlia dell’imperatore. Papa Onorio I (625- 638) fece costruire fuori le mura la basilica attuale, dedicata a Santa Agnese, seminterrata a tre navate con nartece e matroneo. Nell’abside è raffigurata la santa tra i papi Onorio e Simmaco, circondati da un mosaico dorato, testimonianza dell’influenza bizantina.
Su una collinetta lungo l’antica via Nomentana sorge il rudere della “Sedia del Diavolo”, cioè la tomba a tempietto di un liberto dell’imperatore Adriano, Elio Calistio, risalente al II secolo. Dopo il crollo della parete d’ingresso e del soffitto, i resti dei tre lati rimasti sono ancora visibili nella Piazza a lui dedicata, nel quartiere Trieste. Il sepolcro è costruito in laterizio a due livelli. La camera sotterranea, ora accessibile da una scala, presenta due aree sepolcrali su ogni parete con cinque nicchie rettangolari o ad arco per le deposizioni dei feretri. Il pavimento è a mosaico a tessere bianche, la volta è a vela. La camera superiore nella parete di fondo ha un’ampia nicchia collocata dietro un’edicola, sorretta da due colonnine, mentre le nicchie delle pareti laterali sono rettangolari e sormontate da un timpano con la calotta a forma di conchiglia.
Secondo una leggenda medioevale, il rudere della “Sedia del Diavolo” per la sua forma pare servisse al diavolo come sedia. Si diceva che di notte fosse il rifugio di viandanti, mendicanti e prostitute, che vi accendevano fuochi dando al luogo un aspetto sinistro.
Si narra di un pastore, Giovanni, che rincorrendo una pecorella, giunse alla “sedia” dove acquistò poteri guaritivi con una polverina ottenuta grattando i mattoni della costruzione ormai in rovina. Pare che in questo luogo si svolgessero i riti di alcune sette sataniste.
La via passa poi sul Ponte Tazio, o Ponte Nomentano, costruito tra la fine del II sec. a.C. e l’inizio del I sec. a.C. ai piedi della collina di Monte Sacro sul fiume Aniene, il Teverone, che faceva da confine tra il popolo romano e quello sabino. Distruzioni e restauri si sono succeduti dall’antichità ad oggi. Il ponte è formato da un grande arco di travertino, sormontato da una fortificazione merlata di epoca medioevale, affiancata da due archetti di rampa. In origine aveva una duplice arcata.
Vicino si trova un sepolcro che risale al I o II sec. d.C. e che, per le sue dimensioni, è considerato un mausoleo, poi dedicato a Menenio Agrippa, vissuto sei secoli prima. È a pianta circolare su un basamento in opus cementicium, cioè in malta e blocchi di tufo giallo. La camera funeraria ha una volta fatta con frammenti di anfore e quattro nicchie rettangolari, illuminate dalle finestre sovrastanti.
Nella zona di Monte Sacro c’erano varie ville di cui rimangono alcuni ruderi e proseguendo troviamo i resti di un ponte di età repubblicana sopra il fosso di Cecchina-Casal de’ Pazzi; il Parco di Aguzzano e il Torraccio della Cecchina, monumento funebre di epoca antonina, poi trasformato in torre di guardia.
Dopo il raccordo anulare, sulla sinistra sono visibili i resti della strada antica. Al VII miglio si trovano la Basilica e le catacombe di S. Alessandro, che si estendono su un solo piano. Qui furono sepolti Alessandro, Evenzio e Teodulo, martirizzati durante le persecuzioni di Diocleziano. Evenzio e Alessandro vennero sepolti in un unico loculo e Teodulo da solo in un altro.
Dopo la libertà di culto per i cristiani, sancita dall’Editto di Costantino (313), il sepolcro dei due martiri fu isolato per costruirvi sopra una basilica.
Ai primi del V secolo il vescovo di Nomentum, Urso, fece costruire una grande aula elevata sulla costruzione precedente; l’aula era collegata, tramite un nuovo scalone, all’altare che fu rivestito di lastre marmoree, con due colonne e una mensa in porfido.
Poi seguirono le invasioni barbariche con distruzioni e saccheggi. Anche i longobardi depredarono le catacombe per arricchire le loro chiese con le reliquie dei martiri. Così i resti dei tre santi furono trasferiti a Roma, nella basilica di S. Sabina (824-827).
I ruderi del complesso di S. Alessandro vennero alla luce durante gli scavi del 1854. L’attuale sito archeologico conserva le catacombe sotterranee, articolate in due nuclei separati su un unico piano, e la basilica con l’altare, la cattedra episcopale, due colonne del ciborio e numerose iscrizioni sepolcrali sul pavimento. Nel catino absidale della basilica c’è un affresco raffigurante il Cristo circondato da apostoli e santi (1560) del pittore Taddeo Zuccari. Nella moderna chiesa parrocchiale di S. Alessandro una ceramica smaltata e l’affresco nell’abside raffigurano l’assassinio del martire secondo la tradizione popolare: percosso a morte e decapitato.
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