La parola “assolto” non appare nel rapporto preparato dal procuratore speciale Robert Hur sul possesso di documenti riservati del presidente Joe Biden. Hur ha corretto la parlamentare liberal Pramila Jayapal dello Stato del Washington la quale aveva asserito che lui non aveva incriminato l’attuale residente della Casa Bianca nella recente udienza davanti alla Commissione della Giustizia alla Camera.
La Jayapal voleva ricalcare il fatto che il presidente Biden, a differenza di Donald Trump, non è stato incriminato. Ciononostante non ha colto il suo obiettivo completamente. Hur nelle sue indagini aveva concluso che una giuria non avrebbe condannato Biden, descrivendolo come «un vecchietto con una debole memoria».
Hur non ha soddisfatto né i parlamentari democratici né i repubblicani. I primi delusi dalla caratterizzazione dell’attuale presidente come “vecchio” e i secondi per la mancata incriminazione. I repubblicani hanno visto nella decisione di Hur il riflesso di una giustizia con due pesi e due misure.
I parlamentari repubblicani alla Commissione della Giustizia hanno attaccato Hur vedendolo come fedele rappresentante di Merrick Garland, il procuratore della Giustizia nominato da Biden. Quando le notizie di documenti riservati in possesso di Biden vennero a galla, Garland, in una specie di par condicio, ha nominato Hur a condurre indagini. Aveva fatto la stessa cosa nominando Jack Smith procuratore speciale per condurre le indagini sui documenti riservati posseduti da Trump.
L’attuale inquilino della Casa Bianca e l’ex presidente si sono però comportati diversamente. Trump si rifiutò di riconsegnare i documenti, ostruì le indagini, costringendo l’Fbi a perquisire la sua tenuta di Mar-a-Lago in Florida dove furono scoperti altri scatoloni con documenti riservati. Trump continuò ad ostruire ed attaccare l’amministrazione Biden, vedendo l’attuale presidente come responsabile dei suoi guai giudiziari.
Biden da parte sua si è comportato in maniera completamente diversa. Ha cooperato al massimo, consegnando tutto ciò che aveva e ha persino accettato di essere intervistato da Hur. Adesso le 258 pagine delle trascrizioni delle interviste sono state rese pubbliche. Ne viene fuori un Biden che risponde alle domande con sincerità, a volte non ricordando tutti i dettagli, ma non il vecchietto di cui parla Hur. In effetti, la caratterizzazione sull’età avanzata inclusa nel rapporto di Hur viene smentita. Biden ha inoltre dato segnali di vigore come si è visto anche nel suo recente discorso sullo Stato della Nazione, caratterizzato da tutti gli analisti come “grintoso”.
Il parlamentare della California Adam Schiff ha rimproverato Hur nell’audizione accusandolo, forse ingiustamente, di avere incluso la situazione dell’età di Biden per scopi politici. Sarà vero o no ma l’effetto è stato proprio quello. In realtà, se Biden sarà stato danneggiato politicamente dall’inclusione della memoria nel rapporto di Hur la colpa sarà anche di Garland, il quale aveva letto il rapporto prima di rilasciarlo. Avrebbe potuto copiare Bill Barr quando ricevette il rapporto sul Russiagate da Robert Mueller nel 2019. L’allora Procuratore Generale incluse due pagine di introduzione al rapporto in cui scagionava Trump di collusione con la Russia. Mueller, amico di Barr, fu sorpreso dall’introduzione poiché non rifletteva il contenuto del suo rapporto. Garland è rimasto silenzioso sul rapporto di Hur causando ovviamente costernazione alla Casa Bianca.
La maggioranza degli analisti pendenti a sinistra ha iniziato a concludere che la nomina di Garland si è rivelata uno sbaglio per Biden. L’attuale procuratore generale è stato anche criticato per la sua lentezza nelle indagini di Trump sugli eventi del 6 gennaio 2021 che hanno condotto agli assalti al Campidoglio. Il ritardo di Garland nella nomina di Smith e il successo di Trump di rallentare i processi in corso che difficilmente avverranno prima delle elezioni non sembrano preoccupare il procuratore generale. Garland è un uomo di principi e ha fatto di tutto per riportare il ministero di giustizia nella strada giusta di agire in maniera obiettiva. Un compito difficilissimo considerando gli attacchi giornalieri di Trump ai giudici, Biden, e il sistema giudiziario in America. L’ex presidente però nei suoi attacchi ha risparmiato Aileen Cannon, la giudice nel caso dei documenti top secret che doveva iniziare a maggio in Florida.
Parecchie delle sue azioni ci fanno dubitare sulla data iniziale del processo. Va ricordato che la Cannon ha pochissima esperienza, essendo stata elevata a giudice federale dallo stesso Trump 3 anni fa. La giustizia funziona dunque quando gli esiti sono favorevoli all’ex presidente.
Quando invece le sentenze gli vanno contro, come è successo nella causa di aggressione sessuale di E. Jean Carroll e in quella della frode fiscale dello Stato di New York, i magistrati vengono coperti di tutti i vituperi possibili. La giustizia, però, anche se lentamente fa il suo percorso. Nel caso di Carroll l’ex presidente è riuscito a consegnare il deposito della cauzione di 91 milioni di dollari. In quello della frode fiscale però Trump sembra che non vi riuscirà. La procuratrice Letitia James si starebbe apprestando a confiscare alcune delle proprietà del tycoon. La giustizia in America sarà lenta ma alla fine anche i ricchi e potenti come l’ex presidente verranno giudicati.
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Domenico Maceri, PhD, è professore emerito all’Allan Hancock College, Santa Maria, California. Alcuni dei suoi articoli hanno vinto premi della National Association of Hispanic Publications.