La lettura domenicale di fonti sparse mi ha fatto incontrare lo psicologo statunitense Stanley Milgram e il suo esperimento. I partecipanti dovevano obbedire a una autorità che ordinava loro di pigiare un tasto che avrebbe erogato una scossa elettrica su una persona prestatasi come cavia. Ebbene, il risultato fu che il 65% dei partecipanti non si sentiva responsabile del male inflitto.
Questo esperimento mi ha fatto riflettere sul concetto di obbedienza. Può essere cieca? Si, certo, può esserlo. E lo è stata più volte nella storia umana, non solo individuale ma anche collettiva. Pensiamo, ad esempio, alle folle osannanti ad Adolf Hitler, cioè i milioni e milioni di individui normali, anzi “banali”, come li definì Hannah Arendt, che obbedirono ciecamente a ordini disumani. In quegli esseri “banali” il compimento del male a seguito di un ordine impartito dall’alto creò un alibi morale, ovvero fece sì che la persona non si sentisse moralmente responsabile della violenza inflitta.
Esiste ancora oggi questo fenomeno? Purtroppo si, esiste nel mondo virtuale del web, in cui le menti – specie se deboli – possono essere irretite e dominate, così come esiste nel mondo reale, nel quale non poche persone sono incapaci di scegliere tra bene e male e quindi trovano più comodo conformarsi a un sistema di obbedienza che gli dice cosa fare, poco importa se critica o addirittura cieca.
Pensiamo, ad esempio, al caso dei giudici di istituzioni non democratiche che invece di agire secondo coscienza e diritto si adeguano al volere dell’autorità e somministrano (non amministrano) il torto pur riconoscendolo nitidamente come tale. Perché lo fanno?
Perché è nettamente più facile che scegliere, perché pensano di lavare la propria coscienza ritenendo che tanto la colpa della loro azione fideistica e turpe risiede in quella dell’autorità che glielo ha ordinato e, infine, perché non si pongono la domanda su quali e quante sofferenze la loro obbedienza cieca causerà nel destinatario-vittima del torto.
L’obbedienza è un valore importante ma, come tutte le cose, ha un punto di rottura: se è critica va bene perché preserva la natura umana di chi la osserva e la realizza, mentre se è cieca rende l’obbediente un automa senza sentimento e soprattutto non gli lava la coscienza.
Il torto non è solo di chi lo ordina ma anche di chi lo fa e lo concretizza a danno di un proprio simile (mi viene da dire il proprio fratello), specie se è consapevole che è un torto.