La via Nomentana è una delle più antiche consolari della Roma della Repubblica e dell’impero dei Cesari. Andava in Sabina e incrociava la Salaria. Arrivava fino a Mentana e a Monterotondo, città caposaldo per la difesa dell’Urbe. Grandiose ville, piacevoli terme, grandi chiese e fortificazioni medioevali costellavano il percorso. Maria Luisa Berti indica passaggi fondamentali e segreti.
In località Tor Mancina, all’interno della Riserva Naturale Macchia di Gattaceca e Macchia del Barco, si trova l’area archeologica della via Nomentum-Eretum. Qui è visibile un tratto della via Nomentana, pavimentata in basoli di calcare. Ai lati della strada si trovano varie sepolture, molto diverse per rito funerario, dimensioni, materiali e status dei defunti. Ci sono, infatti, sepolture povere, forse di schiavi; semplici fosse di terra e sepolcri più imponenti per personaggi di un certo rango, che dovevano abitare le villae rusticae, di cui il territorio era costellato.
Si arriva infine a Monterotondo, secondo alcuni l’antica città sabina di Eretum, di cui però non sono ancora state ritrovate tracce. Secondo Strabone, Plinio e Tito Livio essa si trovava all’incrocio della Nomentana con la Salaria. Virgilio nell’Eneide la ricorda tra le città in armi contro Enea e gli antichi storici narrano che nei pressi di Eretum si svolsero battaglie in età monarchica e anche durante la Repubblica. Tito Livio racconta che qui passò Annibale durante la sua spedizione verso Roma.
Importante baluardo per la difesa di Roma, la città si sviluppò in età medioevale e venne citata per la prima volta in una bolla papale dell’XI secolo che faceva riferimento ad un possedimento dei monaci di San Paolo: un Campum Rotundum, vicino a Grotta Marozza, chiamato Monte Ereto, quindi Mons Teres, volgarizzato in Monte Ritondo dal 1300. Era allora degli Orsini che vi mantennero il potere fino al XVII secolo, coinvolgendo la città nelle vicende romane e italiane, terribili sotto il papato di Innocenzo VIII e di Alessandro VI Borgia. Quest’ultimo per danneggiare gli Orsini fece avvelenare il cardinale Battista Orsini di Monterotondo ed impose nel 1503 la distruzione delle mura cittadine. Nel 1468 Clarice Orsini sposò Lorenzo il Magnifico assicurando alla città un periodo glorioso. Nel 1626 il feudo passò ai Barberini e divenne Ducato, la città fu cinta di mura, accessibile da tre porte, fu costruito il Duomo e restaurato il palazzo signorile. Nel 1701 subentrarono i Grillo di Genova che costruirono sul Tevere il Ponte del Grillo.
Seguirono anni tranquilli fino all’assedio dell’esercito napoleonico, durato pochi giorni. Poi il paese passò al Principe di Piombino. Nel 1815 la città fu più volte occupata dagli eserciti di Gioacchino Murat, nel 1821 subì il passaggio delle truppe austriache e, finalmente, nel 1845 la visita di Papa Gregorio XVI regalò alla città momenti di gloria quando consegnò le chiavi d’oro del Comune al Papa. Monterotondo divenne una delle maggiori città della Sabina tanto da venire ricordata come “la Parigi della Sabina”. Nel 1867 Garibaldi con i suoi vi entrò bruciando Porta Romana, ora Porta Garibaldi. Pasquale Baiocchi, che aveva una fabbrica di fuochi artificiali in Città Sant’Angelo, aveva preparato a questo fine un carretto pieno di zolfo e materiale incendiario.
Dopo l’armistizio della II Guerra Mondiale, i partigiani combatterono contro i tedeschi a costo di molte vite tanto che Monterotondo è Medaglia d’argento al valor militare, conferita il 19.6.1978 con la seguente motivazione. «Durante nove mesi di dura lotta partigiana, fedele ai suoi ideali di libertà ed indipendenza risalenti alle vicende risorgimentali, sosteneva coraggiosamente le sue forze della resistenza dando alla causa della liberazione notevole contributo di valorosi combattenti, di sangue generoso, di valore e di sofferenze. Monterotondo (Roma), 9 settembre 1943-6 giugno 1944».
Quarto articolo – Fine