Il caso Scurati deflagra in più direzioni. È un brutto problema per Giorgia Meloni e per la Rai in versione TeleMeloni. La presidente del Consiglio criticò il fascismo quando nacque il suo governo nell’ottobre del 2022. Disse chiedendo il voto di fiducia alla Camera: «Non ho mai avuto simpatia» per il fascismo, ci fu la «vergogna delle leggi razziali».
Puntava sull’unità e la pacificazione nazionale. Ma l’obiettivo è fallito. In un anno e mezzo di governo di destra-centro più volte sono emerse nostalgie del Ventennio all’interno di Fratelli d’Italia, il partito post fascista di Meloni.
Il caso Scurati fa riesplodere la contrapposizione tra fascismo e antifascismo. La Rai improvvisamente non manda in onda un monologo di Antonio Scurati sul 25 aprile e su Giacomo Matteotti: succede di tutto. Serena Bortone conduttrice di Che sarà su Rai Tre a meno di 24 ore dalla messa in onda scopre «con sgomento e per puro caso che il contratto di Scurati era stato annullato». Paolo Corsini, direttore dell’Approfondimento di viale Mazzini, nega ogni censura e indica ostacoli «di natura economica e contrattuale».
Scoppia un putiferio. Le opposizioni attaccano «la censura» e la lesione alla libertà d’espressione da parte dell’emittente amministrata dal governo di destra-centro. Elly Schlein accusa: questa Rai «non è più servizio pubblico» ma «si sta trasformando in megafono del governo».
A sorpresa interviene direttamente Giorgia Meloni: «Non so quale sia la verità, ma pubblicherò tranquillamente io il testo del monologo». La presidente del Consiglio dà due motivazioni alla sua decisione: 1) pur provenendo da un partito «ostracizzato e censurato» (il Msi n.d.r.) dalla Rai «non chiederà mai la censura di nessuno anche se si tratta di propaganda contro il governo con i soldi dei cittadini»; 2) in questo modo gli italiani potranno giudicarne «liberamente il contenuto». Aggiunge di sperare che Antonio Scurati non le chieda 1.800 euro come compenso «per un minuto di monologo» per la pubblicazione del suo intervento; la somma che, pare, avrebbe dovuto incassare lo scrittore da viale Mazzini.
Scurati non ci sta. Replica su la Repubblica: è «falso» quanto afferma Giorgia Meloni «sia per ciò che concerne il compenso sia per quel che riguarda l’entità dell’impegno». La cancellazione dell’intervento è di contenuto: «Il mio pensiero su fascismo e postfascismo, ben radicato nei fatti, doveva essere silenziato». Quella subita, sostiene, «è una violenza». Osserva: «È questo il prezzo che si deve pagare oggi nella sua Italia per aver espresso il proprio pensiero?». Piovono insulti. Ora si sente «un bersaglio» e ha «paura».
Meloni pubblica il monologo di Scurati sui suoi canali sociali Internet, Serena Bortone lo legge alla Rai, molti giornali lo stampano cominciando da Repubblica. È giusto il no anche della presidente del Consiglio a ogni tipo di censura. Nel suo monologo Scurati, però, non fa propaganda «contro il governo»: ricorda semplicemente la festa della Liberazione del 25 aprile 1945, le stragi del nazifascismo durante la Resistenza. Ricorda anche il sacrificio di Giacomo Matteotti ucciso 100 anni fa, il 10 giugno 1924, da una squadraccia fascista a Roma dopo un durissimo discorso alla Camera. Il deputato socialista e segretario del Partito socialista unitario sapeva di rischiare la vita, tuttavia denunciò a Montecitorio i brogli nelle elezioni politiche e le violenze nere ai seggi, pronunciò una dirompente requisitoria contro la dittatura che stava realizzando Benito Mussolini.
Forse nella Rai quel monologo di Scurati non è piaciuto per i contenuti più che per il compenso. Da quando si è insediato il governo Meloni la destra sembra mobilitata in una revisione della storia d’Italia con l’intento di battere l’egemonia culturale della sinistra. Viale Mazzini sembra un punto cardine di questa strategia. La reazione è stata forte. Si sono moltiplicati gli addii di giornalisti, scrittori, conduttori alla televisione pubblica. L’elenco è sempre più lungo: Roberto Saviano, Lucia Annunziata, Bianca Berlinguer, Fabio Fazio, Amadeus (all’anagrafe Amedeo Umberto Rita Sebastiani). Hanno lasciato TeleMeloni e sono approdati a La7 e a Nove, la rete tv di Warner Bros in forte crescita in Italia.
Le uscite non fanno bene al Cavallo di viale Mazzini. Per la prima volta Mediaset, l’azienda televisiva della famiglia Berlusconi, ha superato in ascolti la Rai. Ma la sterzata di una “nuova narrativa” dell’Italia rischia di non far bene nemmeno a Fratelli d’Italia, il partito post fascista presieduto da Meloni. La presidente del Consiglio da tempo ha intrapreso la conversione del suo partito in una forza della destra democratica. Tuttavia dall’interno di Fratelli d’Italia ogni tanto emergono nostalgie verso l’era mussoliniana. L’allarme è forte anche perché la Lega di Salvini, in forte crisi, accentua l’avvicinamento alla destra radicale. E ora siamo in piena campagna elettorale per le europee e per un vasto campione di consultazioni regionali e comunali.
Giorgia Meloni sul caso Scurati alla fine, di fatto, striglia TeleMeloni. Nelle elezioni politiche del 2022 conquistò il 26% dei voti, Fratelli d’Italia divenne il primo partito italiano. La presidente del Consiglio deve fare i conti e rassicurare un vasto elettorato moderato, non è più il 2%-3% costituto da un elettorato identitario, con nostalgie del fascismo sul modello del Msi. Forse farebbe meglio ad ascoltare Gianfranco Fini portando la svolta democratica fino in fondo, dichiarando antifascista Fratelli d’Italia.