Il cinquantenario dell’insurrezione militare che liberò il Portogallo dalla dittatura è una buona occasione per riflettere sulla fragilità delle democrazie occidentali. Anche perché, al di là delle molte celebrazioni che hanno accompagnato il ricordo del 25 Aprile 1974, la realtà odierna è che dopo 50 anni di perfetta alternanza al potere tra sinistra riformista (PS) e destra moderata (PSD) il Paese deve fare nuovamente i conti con l’estrema destra.
Alle elezioni politiche del 10 marzo scorso Chega, formazione xenofoba fondata cinque anni fa da André Ventura (fino all’altro giorno irrilevante), ha fatto il pieno di voti. Eleggendo 50 deputati, è diventata decisiva per la sopravvivenza del nuovo governo di minoranza guidato dal leader del PSD Luis Montenegro che, volente o nolente, adesso deve negoziare con Ventura i voti che gli serviranno per evitare la sfiducia dell’assemblea.
Come tutti i partiti sovranisti apparsi all’orizzonte nei paesi del “democratico” Occidente, anche Chega ha pescato nelle periferie, nelle campagne, tra giovani, precari e delusi dalla politica. A cominciare dall’operato della sinistra riformista, che evidentemente nemmeno in Portogallo ha fatto quello che avrebbe dovuto. Come testimonia la sconfitta del PS alle elezioni del 10 marzo dopo la modesta prova data dal governo uscente che – non dimentichiamolo — era a maggioranza assoluta socialista. Questo è forse il dato su cui varrebbe la pena di riflettere seriamente in tutti i paesi democratici occidentali alle prese, ormai da anni, con la sfiducia dei cittadini verso i partiti tradizionali.
A dimostrare in maniera quasi plastica la progressiva disaffezione verso la politica, ci sono proprio i dati statistici dell’affluenza alle urne della giovane democrazia portoghese. Se adesso nel Paese vota più o meno la metà degli elettori, il 25 aprile 1975, esattamente dodici mesi dopo la Rivoluzione dei garofani che aveva dalla sua un enorme sostegno popolare, l’elezione dell’Assemblea Costituente registrò un’affluenza record: 91,66 per cento.
Fu quella anche l’occasione in cui la maggioranza dei portoghesi scelse tra il riformista Mario Soares e il rigorista Alvaro Cunhal, dando al leader socialista il triplo dei voti del segretario comunista. Evitando così al Paese di diventare una specie di Cuba europea. Prospettiva tragica, ma all’epoca possibile, vista la vicinanza tra il Partito Comunista di Cunhal e l’ala dura del MFA, il Movimento delle forze armate che esattamente un anno dopo la Rivoluzione del 25 Aprile 1974 aveva già espropriato migliaia di ettari di terreni e statalizzato oltre il 70 per cento dell’economia portoghese. Una situazione che stava spingendo il Portogallo al collasso e che solo un grande leader come Mario Soares riuscirà a superare, prima da capo del governo e poi da presidente della Repubblica. Prima stabilizzando il Paese, poi facendolo entrare nella Comunità economica europea e infine garantendo quegli investimenti che ne avrebbero consentito lo sviluppo. Anche questa è una cui, in tempi di sovranismo e di politica mediatica, oggi varrebbe la pena di riflettere.