A sorpresa le auto elettriche fanno flop. All’inizio del 2024 calano le immatricolazioni di auto elettriche a batteria e crescono le vendite di macchine ibride e con il motore termico, a benzina o diesel.
In Italia le autovetture elettriche costituiscono appena il 3% del mercato, in Europa non siamo a livelli così bassi ma le auto a batteria sono in picchiata perfino in Germania, il paese che più aveva puntato sulla conversione dell’industria automobilistica verso una transizione ecosostenibile.
La Toyota, il maggiore produttore di auto al mondo, da anni è scettica sul futuro dell’elettrico. Akio Toyoda mantiene le sue riserve. Il presidente del gigante giapponese dell’auto ammonisce: «Non importa quanti progressi facciano le elettriche, penso che avranno comunque solo una quota del 30%» e pertanto «non arriveranno a dominare il mercato» perché avranno un ruolo importante le ibride e quelle a idrogeno. In sintesi: le auto a benzina e diesel non sono destinate al pensionamento.
I motivi sono soprattutto tre: 1) i veicoli elettrici costano molto nonostante gli incentivi economici pubblici e gli automobilisti del ceto medio non le comprano, 2) manca una adeguata rete di colonnine elettriche per la ricarica, 3) le “terre rare” scarseggiano, come dice lo stesso nome dei vari minerali usati per costruire le batterie (e quasi interamente monopolio della Repubblica Popolare Cinese).
Non solo. In molti contestano anche la stessa missione delle auto elettriche: la difesa dell’ambiente. Secondo Romano Prodi complessivamente le macchine elettriche emettono nell’aria più anidride carbonica dei più avanzati motori a benzina e diesel. Le elettriche inquinano anche di più, sostiene l’ex presidente del Consiglio già capo della commissione europea. Fanno sorgere anche il grave problema dello smaltimento di milioni di batterie altamente inquinanti.
E non è finita. La transizione dai motori a combustione a quelli elettrici causa anche gravi problemi sociali e occupazionali come sta accadendo in tutto il mondo occidentale. Nell’occhio del ciclone è in particolare l’Italia. A fine dicembre ha chiuso la ex fabbrica Maserati di Grugliasco a causa dei mancati investimenti in nuovi modelli, Mirafiori è entrata in agonia e tutto l’indotto auto piemontese è devastato da cassa integrazione, contratti di solidarietà, incentivi all’esodo, prepensionamenti, licenziamenti.
C’è il rischio della cancellazione di un importante settore industriale, prezioso per l’occupazione e per l’innovazione tecnologica. Ad aprile tutti i metalmeccanici di Torino hanno scioperato per 8 ore chiedendo a Stellantis il rilancio di Mirafiori riportando la produzione a 200.000 vetture l’anno (nel 2024 c’è il rischio del tracollo a 50.000). Ma tutti gli stabilimenti Stellantis della Penisola sono in crisi e perdono occupazione.
Anche negli Stati Uniti tira un vento analogo: le vetture elettriche annaspano. I clienti non le richiedono per i noleggi così la Hertz decide di vendere buona parte del parco auto a batterie (anche perché i costi di riparazione sono alti) e di comprare delle macchine a benzina.
Il flop delle auto elettriche fa riflettere. Aumentano le spinte per rivedere lo stop di Bruxelles alla produzione di autovetture a combustione dal 2035, una decisione presa dall’Unione Europea come perno della transizione verde per combattere i cambiamenti climatici. I pericoli sociali innescati dalla transizione verde sono emersi anche dal vertice di Parigi dell’Agenzia Internazionale per l’Energia. Il direttore dell’Iea Fatih Birol dice: «La transizione avrà successo solo se andrà a beneficio di coloro che ne hanno più bisogno».
Se ne riparlerà dopo le elezioni di giugno per il nuovo Parlamento Europeo. Prodi ha già indicato una soluzione: si possono adottare più tipi di motori per abbattere l’inquinamento. Si possono utilizzare le migliori tecnologie sostenibili in termini ambientali sia per i motori termici, sia per gli elettrici e sia per quelli a idrogeno. Così si può difendere sia l’occupazione e sia l’ambiente.