“Malafemmena”.
Sumeri, Grecia, Roma
e l’Europa Cristiana

La prostituzione ha una storia lunghissima, attraversa i millenni. Coinvolgeva e coinvolge donne povere e sfruttate nel bordello ma alle volte anche ricche e potenti “cortigiane”. Maria Luisa Berti racconta la tormentata vicenda delle prostitute, le “lucciole”.

Dal latino “prostituere”, cioè porre davanti, deriva la parola prostituzione: infatti la persona che si prostituisce viene posta in vendita davanti alla bottega del suo padrone, come fosse una merce. La prostituta, allora come adesso, raramente esercita liberamente la sua professione ma vi è costretta da qualcuno che sfrutta il suo lavoro.

Prostituzione, Aspasia di Mileto - Busto in marmo - Musei Vaticani

Aspasia di Mileto – Busto in marmo – Musei Vaticani

Nel vicino Oriente era diffusa la prostituzione sacra, fin dal tempo dei Sumeri. Secondo Erodoto e Tucidide a Babilonia ogni donna doveva recarsi (una tantum in vita) al santuario di Militta, dedicato alla dea Anahita, dove avrebbe avuto un rapporto sessuale con uno straniero in segno di ospitalità.

Anche ad Israele era diffusa la prostituzione nonostante i divieti della legge ebraica. La Bibbia ricorda, al cap.38 della Genesi, la prostituta Tamar che attende i passanti a volto coperto (segno distintivo delle prostitute) e si fa pagare in natura, con una capra. Nel libro dell’Apocalisse di legge: «Babilonia la Grande, madre delle prostitute e di tutte le abominazioni della Terra».

Nell’antica Grecia il mestiere più antico del mondo era praticato da ambedue i sessi e le prostitute erano le uniche donne libere, talvolta anche degne di prestigio, come Aspasia, l’amante di Pericle. Dovevano comunque indossare abiti che le distinguessero dalle altre donne e dovevano pagare le tasse. Era diffusa anche la prostituzione maschile, praticata da adolescenti che da adulti potevano perdere i diritti politici.

Nella società romana la prostituzione era autorizzata e veniva praticata da ambedue i sessi. Si trattava per lo più di schiave e di liberte, considerate al pari dei gladiatori o degli attori che erano privi della cittadinanza romana.

Con l’avvento del Cristianesimo l’inferiorità della donna nei confronti dell’uomo è stata la principale causa della prolificazione della prostituzione, soprattutto nel Medioevo. Spesso le donne vi erano costrette da chi era loro più vicino: il padre, un fratello, il padrone, ma alla base c’era la condizione di povertà. A volte era l’assenza di una dote e, quindi, l’impossibilità di maritarsi, a spingere la donna sulla via della prostituzione. Anche l’essere lasciate dal marito per infedeltà o incompatibilità, come pure l’essere state violentate erano fatti così infamanti da non lasciare che un’unica via di sopravvivenza.

“Alle quattro sorelle”, insegna di un bordello (I-II secolo dopo Cristo). Berlino, Staatliche Museen

La prostituzione veniva esercitata nei bordelli, lungo le strade, ma anche nelle dimore dei nobili e perfino nelle regge. Le taverne, le osterie e le locande offrivano ospitalità alle donne di piacere in cambio di una percentuale sul loro guadagno. 

La Chiesa, che condannava severamente l’omosessualità, la masturbazione e l’adulterio, considerava i bordelli un male necessario: «godere pagando significava godere senza peccato». Guillaume de Conches nel 1150 spiegava che «niente di quel che è naturale potrebbe essere vergognoso, poiché è un dono della creazione. Solo gli ipocriti lo ignorano». Anche Tommaso d’Aquino (1225-1274) era un sostenitore del sesso a pagamento.

La maggior parte delle donne nei postriboli dipendeva da un ruffiano, uomo o donna, che forniva loro una stanza e la clientela. Il mezzano veniva punito dalle autorità con pene pecuniarie ma anche con l’esilio. Nei bordelli pubblici la situazione delle prostitute era peggiore perché dovevano pagare l’affitto del locale, il cibo, il vestiario e le tasse; finivano così per rivolgersi agli usurai.

Si legge in un’ordinanza cittadina di Norimberga: «Inoltre, il gestore del bordello, uomo e donna, deve fornire alle donne che vivono nella loro casa con le camere, lenzuola e cibo decente, e devono dar loro da mangiare due pasti al giorno e ad ogni pasto due piatti decenti; e per tali spese ogni donna comune che vive nel bordello deve dare al gestore del bordello separatamente la somma di quarantadue pence settimanali, se si utilizza il cibo o no. Inoltre il gestore del bordello deve far fare un bagno almeno una volta alla settimana in casa alle donne che vivono in casa, e questo a sue spese». Ed eravamo nel 1470.

Con l’avanzare dell’età e la conseguente perdita di clienti le prostitute finivano in strada con ben poche possibilità di sopravvivenza.