Il grande attivismo internazionale di Giorgia Meloni e le relazioni “amichevoli” che, secondo quanto sostengono a Palazzo Chigi, la presidente del Consiglio ha stabilito con alcuni leader di Paesi che contano, non è bastata per accrescere il peso dell’Italia sullo scacchiere geopolitico.
Piaccia o non piaccia, in Occidente continuiamo ad essere visti e trattati come sempre: da alleati di seconda fila che non vengono invitati agli incontri ristretti, ai faccia a faccia riservati dove si prendono le vere decisioni. Una scena vista tante volte e che si è ripetuta puntualmente in questo primo scorcio di maggio, durante il viaggio europeo di Xi Jinping. Prima tappa a Parigi, dove lunedì 6 il premier cinese ha incontrato il presidente francese Macron e la presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen. Con il cancelliere tedesco Scholz a fare da convitato di pietra, visto il faccia a faccia della sera prima con Macron completamente dedicato ai rapporti tra Cina e UE.
Se quindi Giorgia Meloni fino a ieri immaginava di poter aver un ruolo importante nella messa a punto delle prossime linee dell’Ue, anche grazie al “rapporto personale” spesso ostentato con la presidente della Commissione europea, adesso sa che non deve farsi troppe illusioni. Infatti nel giro europeo del numero uno cinese, dopo la Francia ci sono Serbia e Ungheria, ma l’Italia verrà ignorata. E per Giorgia Meloni non è prevista nemmeno una telefonata di cortesia.
Per capire le ragioni di uno schiaffo del genere non basta ricordare la disdetta dell’accordo Italia-Cina, la cosiddetta “via della seta”, ratificato a dicembre 2023 dal governo di Roma, ma ci sono anche certe dichiarazioni non proprio diplomatiche della nostra premier, frasi dal sen fuggite, tipo “Non esiste soltanto la Cina”. Parole tra l’altro inimmaginabili solo un anno e mezzo fa, ai tempi del lungo faccia a faccia di Xi Jinping a margine del G20 di Bali.
Il fatto è che di fronte ai recenti sviluppi dello scenario geopolitico europeo e mondiale l’Italia appare sempre più marginale –e non solo agli occhi della Cina– perché risulta sempre meno affidabile. Il calo di fiducia deriva soprattutto dall’andamento sempre più ondivago della premier e del governo in vista delle elezioni europee di giugno.
Per esempio il varo di un DEF 2024 (il Documento di economia e finanza) senza l’indicazione delle coperture di spesa. Una cosa mai vista e comunque inconcepibile in presenza di un rapporto deficit-pil al 7,4 per cento, il peggiore dell’UE dopo quello della Grecia.
E poi c’è il voto italiano contro il nuovo Patto di stabilità. Un voto, che nel Parlamento europeo ha accomunato i rappresentanti italiani dei partiti di destra e sinistra, con sole tre eccezioni. A conferma che l’Italietta non cambia mai e l’opportunismo è nel suo DNA. Come dimostra il fatto che non ha mai concluso una guerra con lo stesso alleato con cui l’aveva iniziata.