Mi piacerebbe sapere in quale consesso riconosciuto di geologi, ingegneri idraulici, architetti paesaggisti, economisti, sovrintendenti, sociologi, turisti per caso, tuttologi, sia stato deciso che il Biondo Tevere, nel percorso che accarezza la città con le sue anse armoniose, le sue incertezze, le sue prospettive spettacolari debba essere incorniciato da selvagge presenze boschive che ne limitano la fruizione visiva, rimettono in discussione la sicurezza delle banchine e inevitabilmente complicano l’attività della polizia fluviale. E soprattutto sono orrende.
Quale giunta capitolina abbia dato via al degrado è poco importante sapere visto che poi nessuno ha pensato di ripristinare un minimo di equilibrio. E l’attuale amministrazione mostra al riguardo un encefalogramma piatto. Lo stupore riguarda l’assoluto disinteresse di enti, istituzioni, politici, difensori di questo o quell’insetto, pennivendoli di varia estrazione e, sì, giornalisti. E pensare che gli argini sono un esempio mirabile di sicurezza e che sovrastano le chilometriche banchine sempre in attesa di diventare illimitate piste ciclabili e vere autostrade pedonali.
Di questi tempi, in caso di piena prolungata, è forte il rischio espianto e conseguente dannosa deriva di tronchi e frasche. Guardare l’Isola Tiberina assediata fa tristezza, ma soprattutto fa paura.
Vi ha sede uno dei più importanti ed efficienti, ospedali della capitale, presidio insostituibile nel centro storico.
Vi dice niente la zanzara tigre e parenti affini in evoluzione, o il sorcio infetto che trova l’habitat naturale nei ristagni e nel sottobosco? Il vostro cronista, adolescente negli anni ‘50 del ‘900, contrasse un’epatite virale alimentare, fino ad allora classificata come itterizia. A Roma venne identificata come epatite da Tevere. Inquinato come non mai, ospitava ancora i barconi per la balneazione e il canottaggio, oltre agli esclusivi circoli dopolavoro ministeriali. A Ponte Vittorio c’era il mitico er ciriola, ma anche, più a monte, er panza e er chiappa. Tanta acqua è passata sotto i ponti, è il caso di dirlo, e ha bonificato sensibilmente, con depuratori e decantazioni, il percorso che resta comunque critico. Tanto c’è ancora da fare e l’idea che si attenti impunemente al difficile equilibrio igienico-ambientale del fiume fa accapponare la pelle. E ora che arriva il caldo c’è chi impunemente sostiene di non tagliare neppure l’erba nei parchi, in omaggio alla biodiversità per favorire l’ecosistema (e vai!). Ma quante imbecillità si possono affermare senza superare la modica quantità?