La prostituzione ha una storia lunghissima, attraversa i millenni. Coinvolgeva e coinvolge donne povere e sfruttate nel bordello ma alle volte anche ricche e potenti “cortigiane”. Maria Luisa Berti racconta la tormentata vicenda delle prostitute, le “lucciole”.
Le prostitute, in Italia come nel resto dell’Europa, dovevano usare un particolare abbigliamento per essere ben riconoscibili: abiti con una larga fascia bianca, ornata con rose nere e campanellini a Bologna, a Milano mantelli neri, a Firenze guanti e campanelli sui cappelli. Non dovevano avere vestiti e accessori di lusso. Nel 1340 le autorità di Barcellona ordinarono alle prostitute di non portare mantelli pena una multa di venti soldi e un giorno in prigione.
Nella Bologna medioevale il bordello pubblico si trovava dietro la casa-torre dei Catalani, ancora esistente nei pressi di Piazza dei Celestini. I Frati del vicino convento dei Celestini riuscirono poi a far spostare il bordello pubblico nella Corte dei Bulgari, dove ora sorge il cortile dell’Archiginnasio. Nel bordello pubblico lavoravano le meretrici autorizzate dal Comune, mentre tante altre donne bazzicavano nei pressi per portarsi i clienti a casa. Alcune di loro si fingevano signore benestanti in cerca di nuove emozioni ed erano tante che negli Statuti Bolognesi del 1252 si chiedeva a queste signore di provare il loro stato sociale con sette testimoni.
Tra il 1250 e il 1260 gli Statuti si accanirono contro le prostitute. «Per evitare lo sconcio delle malefemmine… ordiniamo che le meretrici pubbliche e i loro protettori se ne vadano ad abitare fuori di città e che non siano accolte loro denuncie per offese o ingiurie subite presso le stanze degli studenti, tranne che per furti, ferite, pestaggi o invalidità». Con questo decreto si tutelano le prostitute del bordello pubblico. In un altro statuto si legge: «siccome attualmente ci sono in città troppe meretrici, ladri, ruffiani, biscazzieri e sfaccendati che consumano molti viveri, se ne vadano tutti costoro entro otto giorni e a chi rimane venga tagliato il naso». Evidentemente erano tempi di carestia e la vita per le prostitute al di fuori dei bordelli non era facile. Si racconta la storia di una prostituta, Gottifreda della Mannaia che abitava in via Santa Caterina e che, sentendosi libera di circolare, aveva tentato di esercitare la sua professione a Porta Saragozza dove aveva suscitato l’ira di un vecchietto il quale l’aveva colpita con un sasso.
Alla vista delle sue lacrime e del sangue che le copriva il volto, un armigero l’aveva difesa provocando una rissa con molti feriti. Al tramonto trovarono la donna morta appoggiata al muro di una cappella votiva, come se pregasse.
Il mercato del sesso era assai florido visti i numerosi studenti che da tutta Europa venivano a Bologna per seguire le lezioni di diritto e di medicina. Alla fine del Duecento Papa Bonifacio VIII con una legge ordinò che le prostitute fossero cacciate dalla città e le loro case distrutte. Ben presto esse tornarono nell’attuale Via D’Azeglio, vicino al bordello pubblico e alle scuole. Anche dietro alle mura di San Mamolo (da cui si accede in Via D’Azeglio) c’era un giro di luci rosse, infatti nel 1337 Bartolomea, che abitava presso la Chiesa di San Mamolo, aveva trasformato la sua casa in un bordello e negli atti del processo si legge: «aveva adibito la propria abitazione a casa d’appuntamento permettendo, dietro compenso, che lì si commettessero stupri, incesti ed altre simili nefandezze come adulteri e incontri clandestini con donne sposate, nubili, vedove, e perfino ragazze vergini e monache consacrate a Dio». Nel tardo Trecento il Cardinale Legato fece costruire un muro lungo quella strada per impedire gli adescamenti. Il Comune di Bologna continuò ad esigere il datium bordeli fino al 1368 quando il Cardinale Legato per festeggiare la sua elezione decise di abolirlo.
Secondo articolo – Segue